Guardrail in acciaio, barriere New Jersey ed altri dispositivi di ritenuta: la pericolosa inutilità della certificazione rilasciata dal produttore. Urge modifica della normativa.

Focus n. 1 sul mondo delle barriere stradali. L’insicurezza di strade e autostrade non è sempre (o solo) colpa di chi le gestisce ma, anche, di una norma che coinvolge i pochissimi produttori delle barriere stradali. Vi spieghiamo il perché.

La maggior parte delle barriere bordo-ponte presenti sulla rete autostrada le italiana sono inserite nel gruppo di priorità numero 1, in cui massima è l’urgenza dell’intervento di riqualifica”.

È scritto a pagina 27 dell’ordinanza del gip di Avellino, Fabrizio Ciccone, che ha disposto il sequestro delle corsie contigue ai new jersey di una decina di viadotti lungo la A14, tra Abruzzo e Marche, gestita da Autostrade per l’Italia (Aspi). Provvedimento fondato sulla circostanza, rilevata nell’inchiesta del procuratore capo Rosario Cantelmo, che i lavori di sostituzione dei tirafondi “Liebig” con le barre filettate inghisate in malta cementizia hanno reso lo stato delle barriere “precario e inidoneo a garantire la tenuta delle stesse in caso di collisione sia con veicolo pesante, sia con veicolo leggero”.

La traduzione che molti commentatori fanno di queste parole è semplice: “il pericolo che si corre sui viadotti oggetto dei sequestri sull’Adriatica – e gli altri 12 interessati a un provvedimento analogo (in primavera) lungo la A16, in Campania, tra Baiano e Benevento – è diffuso in tutto il Paese”.

A nostro avviso, invece, la situazione ‘barriere stradali” (tanto in acciaio quanto in cemento armato) è molto più preoccupante: non riguarda solo le autostrade gestite da Aspi ma anche quelle degli altri concessionari così come le strade statali gestite da ANAS.

E, cosa ancora più importante, la situazione di concreto pericolo (al quale vengono esposti, ogni giorno, milioni di automobilisti) non è ascrivibile alla sola responsabilità dei gestori delle infrastrutture ma, anche e soprattutto, ad una sciagurata e pericolosissima norma di Legge.

Una disposizione – nascosta nelle pieghe della normativa vigente e sopravvissuta anche al nuovo Codice degli appalti – che dovrebbe essere al più presto eliminata.

Com’è noto, il Decreto del Ministro delle Infrastrutture e Trasporti n.2367 del 21.06.2004 prevedeva all’art.5 (Conformità dei dispositivi di ritenuta nelle costruzioni stradali e loro installazione) che «Alla fine della posa in opera dei dispositivi, dovrà essere effettuata una verifica in contraddittorio da parte della ditta installatrice, nella persona del suo Responsabile Tecnico, e da parte del committente, nella persona del Direttore Lavori anche in riferimento ai materiali costituenti il dispositivo. Tale verifica dovrà risultare da un certificato di corretta posa in opera sottoscritto dalle parti».

Una norma razionale, condivisibile e che non aveva alcun motivo di essere buttata nel cestino.

Anzi, avrebbe potuto essere migliorata al fine di consentire al progettista di meglio curare il corretto inserimento delle barriere nel tessuto viario (procedendo se del caso agli adattamenti previa modifica di alcuni elementi del dispositivo che di conseguenza può essere, per tali elementi, difforme da quello omologato), verificare, sempre e comunque, che le condizioni di installazione delle barriere di sicurezza siano tali da consentirne il corretto funzionamento ed adottare, se necessario, per il margine interno, il margine laterale o il margine esterno dimensioni maggiori delle minime previste dalla presente norma. Il tutto al fine di assicurare (con specifici disegni esecutivi e relazioni di calcolo) condizioni di funzionamento sostanzialmente analoghe a quelle delle prove di crash.

E, invece, accadde che il Legislatore (a quanto ci raccontano, manovrato da quale furbo lobbista) intervenne in materia e – con il sopracitato art. 79, comma 17, del DPR 5 ottobre 2010, n.207 – introdusse nel sistema un vero e proprio obbligo normativo a carico di tutti i produttori di barriere autostradali statuendo, espressamente, che «Per i lavori della categoria OS 12-A, ai fini del collaudo, l’esecutore presenta una certificazione del produttore dei beni oggetto della categoria attestante il corretto montaggio e la corretta installazione degli stessi».

In pratica, ancora oggi, nessun lavoro, che riguardi anche solo un metro di guardrail, può essere collaudato se il produttore di quello stesso metro di guardrail non certifica che lo stesso è stato correttamente posato in opera.

Per adempiere al sopra richiamato obbligo normativo, i produttori di barriere dovrebbero quindi, necessariamente, espletare una serie di attività tecniche e amministrative prodromiche al rilascio di tale certificazione e, conseguentemente, sostenere una serie infinita di costi (diretti ed indiretti) che inciderebbero, pesantemente, sulla redditività della singola commessa in quanto svincolate dall’entità della singola fornitura.

Ma è proprio questo ciò che accade nella realtà?

AppaltiLeaks ha analizzato (su richiesta di un produttore) sia la modulistica predisposta, al riguardo, da UNICMI (l’associazione di categoria cui aderiscono tutti i principali produttori italiani di barriere) sia quella effettivamente utilizzata in occasione di alcuni lavori.

Analizzando tali documenti (scarica qui il FAC_SIMILE_DICHIARAZIONE e il FAC_SIMILE_CERTIFICATO), è risultato che il procedimento indicato per il rilascio della prevista certificazione non prevede la creazione di un apposito dossier documentale a garanzia delle verifiche all’uopo effettuate, è sbilanciato a vantaggio del soggetto sottoposto a controllo (posatore/installatore) e rischia di essere influenzato negativamente da strategie commerciali: qualcuno può ragionevolmente sostenere che gli appaltatori siano disposti a rifornirsi da un produttore che faccia loro sentire, giorno per giorno, il fiato sul collo per accertare, davvero, il corretto montaggio? Non è più probabile, invece, che si preferisca continuare ad acquistare le barriere da un concorrente, meno puntiglioso e rigoroso del primo fornitore, che con molta più ‘flessibilità’ gli invii per fax la medesima certificazione a fine lavori senza essere mai andato in cantiere (o, peggio, averci fatto visita per una rapida e distratta occhiata in giro)?

Ma non basta.

La cosa più grave è che il paradigma procedurale, sotteso a questo modus operandi, appare risolversi in un mero “scambio di carta”: il Produttore, fidandosi di quanto dichiarato dal posatore/installatore (senza che questi assuma, peraltro, alcuna responsabilità per le dichiarazioni NON rese nella forma prevista dall’art. 47 del DPR 445/2000), deve  svolgere ex post un semplice sopralluogo e “per quanto visivamente rilevabile ed ispezionabile” certificare il corretto montaggio e la corretta installazione.

Seguendo tale schema operativo, il rischio concreto è che:

  • non vi sia alcuna prova documentale circa la veridicità delle dichiarazioni rese dall’esecutore;
  • non venga svolta alcuna verifica in corso d’opera;
  • non vi sia alcuna prova documentale delle effettive verifiche ed ispezioni svolte dal Produttore a consuntivo
  • e quindi, a nulla valendo la dichiarazione resa dall’esecutore, le conseguenti certificazioni valgano poco più della carta straccia.

In Italia, esemplificando ancor di più, potrebbe funzionare così: il controllato (posatore/installatore) dice al controllore (produttore) che tutto è a posto, il controllore (senza neppure andare, forse, in cantiere o basandosi solo su quanto “visivamente rilevabile”) rilascia allora una certificazione (che in realtà dovrebbe essere qualificata come mera “presa d’atto”) al collaudatore, il collaudatore si nasconde dietro quella stessa certificazione e tutti sono felici e contenti.

Parrebbe proprio, insomma, il solito annacquamento all’italiana delle funzioni e delle responsabilità tra progettista, direttore dei lavori, collaudatore, appaltatore e produttore delle barriere…

Almeno fino a quando un altro autobus o un TIR taglierà come il burro un guardrail o un new jersey ed altre decine di vittime innocenti moriranno ingiustamente come accaduto, ad esempio, nel 2013 sull’A16  Napoli-Canosa, nel 2008 sulla A4 Torino Trieste o sulla S.S. 131 Cagliari-Sassari (clicca qui per vedere la denuncia giornalistica delle Iene nel servizio di Luigi Pelazza del 17 marzo 2019).

Ed allora tutto verrà portato all’attenzione di un giudice che dovrà districarsi tra una miriade di perizie e consulenze tecniche dei vari imputati fino ad arrendersi al solito intervento della prescrizione e lasciando i parenti delle vittimi di fronte all’ennesimo nulla di fatto.  

Per carità, AppaltiLeaks non vuole assolutamente sostituirsi agli organi inquirenti o segnalare ipotetiche responsabilità civili e penali che potrebbero essere individuate solo in seguito ad attente indagini ed all’esito dei relativi processi. Nè sa se le cose vadano effettivamente in questo modo. 

Il nostro intento è solo quello di accendere un faro sul pericolosissimo paradosso normativo che molti non conoscono o fingono di dimenticare.

Tanto più che l’Ufficio ispettivo territoriale di Roma del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti ha notificato a tutte le società concessionarie autostradali di competenza le “innovative” Linee guida per la sostituzione e la riqualificazione delle barriere di sicurezza installate sulle infrastrutture. Un documento messo a punto da un tavolo tecnico ad hoc, costituito dopo che, lo scorso 24 giugno, la Direzione Generale vigilanza autostrade dello stesso MIT aveva prescritto a tutte le società concessionarie di procedere alla riqualificazione delle barriere di sicurezza.

Se la finalità è quella di diminuire gli incidenti mortali su strada e le linee guida emanate per le società concessionarie di competenza dell’Uit di Roma sono valide anche per tutte le strade e autostrade italiane perché non si provvede, parallelamente, all’abrogazione del comma 17 dell’art.79 di cui stiamo discutendo?

O, ancora meglio, perché non lo si riscrive prevedendo che la certificazione di corretto montaggio e installazione sia resa da un organismo di parte terza, abilitato alla professione di ingegnere e dotato di un apposito sistema interno di controllo della qualità che garantisca indipendenza ed imparzialità di giudizio in assenza di qualunque interesse commerciale o finanziario concorrente con quello del produttore e dell’installatore dei beni oggetto della fornitura?

In un Paese normale, attenendosi al testo letterale della norma in questione, ci si aspetterebbe che trattandosi di ‘certificazione’ – ossia di un documento che attesta che, effettivamente, quella determinata attività rispetta i requisiti dei “Manuale per l’utilizzo e l’installazione dei dispositivi di ritenuta stradale” di cui al Decreto Ministeriale del infrastrutture e dei trasporti del 28.06.2011 e delle più recenti Linee guida sopra menzionate – la procedura venga svolta da una terza parte indipendente capace di dare assicurazione scritta che il servizio/processo di montaggio ed installazione possa, davvero, ritenersi conforme ai requisiti specificati.

La certificazione di servizio è, infatti, una forma di “assicurazione diretta”, con cui si accerta la rispondenza di quel servizio ai requisiti applicabili.

E invece no, in Italia avviene esattamente il contrario.

E la questione è francamente incomprensibile tanto più che tutti i pochissimi produttori italiani di guardrail sono anche installatori e quindi esecutori diretti dei lavori appaltati per la realizzazione di lavori ricadenti nella categoria OS-12A: in questo caso il paradosso va oltre ogni immaginazione, un po’ come se l’impresa si auto-qualificasse ai fini SOA senza sottoporsi al vaglio indipendente degli Organismi di attestazione.

All’interno del quadro delineato, va peraltro segnalata la recentissima iniziativa messa in campo dalla predetta UNICMI – Unione Nazionale delle Industrie delle Costruzioni Metalliche dell’Involucro e dei serramenti (segui il link).

Lo scorso 10 settembre, infatti si è svolto un corso per “formare i posatori dei sistemi di sicurezza stradali nell’ottica di rispondere all’esigenza della corretta installazione e montaggio di tali dispositivi progettati e testati dai produttori e all’esigenza più ampia della sicurezza stradale”.

Per la verità, secondo quanto ci hanno riferito, un’idea molto simile a quanto ideato e proposto da una società di ingegneria indipendente proprio ad alcuni operatori del settore che hanno collaborato all’iniziativa UNICMI.

Ebbene, al di là del pregio dell’iniziativa (sicuramente encomiabile), non possiamo che porci alcune domande:

  • se, dopo circa un decennio dall’entrata in vigore della norma in questione, si è avvertita la necessità di un primo (non abbiamo registrato alcun precedente) corso di formazione per “rispondere all’esigenza della corretta installazione e montaggio di tali dispositivi”, chi e come ha svolto tali attività di controllo fino ad oggi?
  • indipendentemente dall’autorevolezza dei docenti del corso, sono stati davvero sufficienti ‘sei ore’ per sviscerare tutti numerosi argomenti dei ben quattro moduli formativi, per saper “identificare una soluzione di installazione corretta tra tre soluzioni alternative” e per svolgere l’esame finale con la “compilazione a cura dei partecipanti di un questionario con domande a risposta chiusa”?
  • chi e quanti sono stati i partecipanti?
  • d’ora in poi i produttori si avvarranno solo dei soggetti formati nelle fatidiche sei ore?
  • i soggetti formati sono in grado di garantire indipendenza ed imparzialità di giudizio in assenza di qualunque interesse commerciale o finanziario concorrente con quello del produttore e dell’installatore dei beni oggetto della fornitura?
  • perché questa encomiabile iniziativa non è stata adeguatamente pubblicizzata e svolta in collaborazione con il Ministero delle infrastrutture e i principali gestori di infrastrutture stradali (ANAS, Autostrade per l’Italia, Gruppo Gavio, Gruppo Toto, etc.) per consentire una, sicura, maggiore partecipazione?;
  • UNICMI intende divulgare, per le ovvie esigenze di pubblico interesse ed a tutela della sicurezza stradale, la documentazione didattica sulla base della quale è stata assicurata la formazione dei partecipanti?   
  • i docenti incaricati hanno spiegato come devono comportarsi i produttori allorquando si rendano conto che i loro prodotti non possono essere correttamente installati perché il progetto a base di gara è carente o, addirittura, sbagliato…..?
  • e, soprattutto, la procedura di ‘certificazione’ continuerà ad essere svolta dai nuovi esperti allo stesso modo che in passato …?

Noi speriamo, davvero, che ciò non avvenga ed auspichiamo che il nuovo Governo possa quanto prima intervenire mediante un opportuna modifica legislativa che ponga fine ai possibili rischi di questo rapporto incestuoso tra produttori e installatori.

Vogliamo però essere chiari di modo che nessuno possa anche solo ipotizzare il benché minimo dubbio sulla nostra totale fiducia nei produttori di barriere! Non riteniamo, in alcun modo, che quanto qui evidenziato possa ritenersi indice di pratiche volutamente scorrette e non nutriamo il benché minimo sospetto circa l’operato di funzionari, dirigenti ed amministratori pubblici e privati che, al contrario (ne siamo fermamente convinti), avranno adottato ogni atto e/o provvedimento ispirandosi, sempre e comunque, al massimo ed effettivo rispetto dei principi di legalità.

Ma in attesa di una eventuale modifica legislativa, non guasterebbe se la magistratura potesse (e volesse) trovare il tempo e il modo di verificare le prassi operative e la documentazione a corredo delle certificazioni passate e future. Anche se la questione che stiamo affrontando non ha nulla a che vedere, ovviamente, con le sanzioni pecuniarie multimilionarie che l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM) ha deliberato per i comportamenti ascritti nel provvedimento n.23931 del 28 settembre 2012, emanato a chiusura del procedimento che aveva accertato un’intesa restrittiva della concorrenza ex art. 101 del TFUE tra i principali produttori italiani di guardrail (“consistente in un’unica e complessa pratica concordata continuata nel tempo volta a distorcere fortemente i meccanismi di confronto concorrenziale nel mercato nazionale dei dispositivi metallici di sicurvia” – AGCM n. 23931 del 28 settembre 2012).

Sicuramente è tutto è regolare ma, tenendo conto di quanto sta emergendo nell’inchiesta sulla sicurezza strutturale di ponti e viadotti, sarebbe preferibile non dare nulla per scontato e rassicurare gli utenti della strada.

– fine prima parte –

AppaltiLeaks® – Riproduzione riservata – 16 settembre 2019

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