Guardrail: dopo le dure sanzioni Antitrust, come è cambiato il mercato? Le aziende colpite dalle multe milionarie possono partecipare alle gare? E in che limiti?

Focus n. 2 sul mondo delle barriere stradali. Un’occasione in più per riflettere sulla certificazione di corretta installazione dei dispositivi di sicurezza sulle nostre strade ed autostrade e sulla concorrenza tra gli operatori del settore.

Nel nostro precedente articolo (Guardrail in acciaio, barriere New Jersey ed altri dispositivi di ritenuta: la pericolosa inutilità della certificazione rilasciata dal produttore. Urge modifica della normativa) abbiamo trattato della pericolosità normativa della disposizione di cui all’art.79, comma 17, del Dpr 207/2010 ed illustrato i rischi connessi al difetto di indipendenza ed imparzialità di giudizio in presenza di interessi commerciali o finanziari concorrenti con quello del produttore e dell’installatore dei beni oggetto della fornitura.

Un rischio tanto più elevato nell’ipotesi in cui l’appaltatore (e, quindi, l’installatore) sia proprio uno dei pochissimi produttori italiani di guardrail: in questo caso il paradosso va, infatti, oltre ogni immaginazione (un po’ come se l’impresa si auto-qualificasse ai fini SOA senza sottoporsi al vaglio indipendente degli Organismi di attestazione) perché il processo di certificazione NON viene svolta – neppure in apparenza – da una terza parte indipendente.

Ciò premesso, intendiamo riservare questa seconda parte dei focus dedicati al ‘mondo delle barriere stradali’ alla particolare (ma frequentissima) fattispecie in cui l’appaltatore sia uno dei pochissimi produttori dei dispositivi in argomento ed alla sua legittima possibilità di partecipare ad una gara di appalto senza temerne l’esclusione.

Come è noto, infatti, l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (vedi provvedimento AGCM n. 23931 del 28 settembre 2012), dopo una lunga istruttoria scaturita da un’indagine penale, ha irrogato pesantissime sanzioni a carico di quasi tutti i principali fabbricanti italiani di guardrail per l’accertata intesa restrittiva della concorrenza ex art. 101 del TFUE tra gli stessi realizzata mediante la costituzione di un apposito consorzio.

Come è altrettanto noto, il Consiglio di Stato (vedi Sentenza n.3197/2018), ha messo la parola fine alla legittimità del provvedimento sanzionatorio adottato dall’AGCM, ritenendo:

  • che la natura del termine per la conclusione del procedimento sanzionatorio non fosse perentoria;
  • che la decorrenza del termine per la notifica della contestazione non decorresse dalla commissione dell’illecito ma dal momento in cui l’Autorità ne ha acquisito la piena conoscenza;
  • e che, più in generale, il provvedimento fosse esente dai vizi dedotti sotto i profili di difetto di istruttoria, contraddittorietà e violazione del principio di proporzionalità nell’ambito della quantificazione della sanzione irrogata.

Ebbene, l’art. 80 del Contratti, attualmente in vigore, individua i motivi di esclusione di un operatore economico dalla partecipazione alle gare d’appalto ed è, per molti aspetti, innovativo rispetto alla pregressa disciplina.

Ai sensi dell’art. 80, comma 5, lett. c), infatti, le stazioni appaltanti devono escludere dalla partecipazione alla procedura d’appalto qualsiasi operatore economico che si sia reso colpevole di gravi illeciti professionali, tali da rendere dubbia la sua integrità o affidabilità”; una norma che disciplina una “fattispecie aperta contenente una elencazione avente chiara natura esemplificativa e non tassativa” e che rimette alle stazioni appaltanti la possibilità di individuare altre ipotesi non espressamente contemplate dalla norma primaria o dalle Linee Guida, che siano oggettivamente riconducibili al grave illecito professionale (cfr. TAR Lazio, Roma, 31.1.2018, n. 1119; TAR Lazio, Roma, 2.3.2018, n. 2934).

E ciò, è ulteriormente confortato dalla normativa europea che, più opportunamente, la include esplicitamente tra i gravi illeciti professionali che minano l’affidabilità del concorrente (vedi il “Considerando 101” della direttiva 2014/24/UE, per il quale il vincolo fiduciario può venir meno perché compromesso da gravi violazioni dei doveri professionali “come le violazioni di norme in materia di concorrenza o di diritti di proprietà intellettuale”).

Ed ove ciò non basti, va ricordata comunque la posizione dell’Autorità Nazionale Anticorruzione che nelle Linee guida n. 6 (peraltro, aggiornate a seguito del correttivo D.Lgs. 56/2017), al punto 2.2.3.1, annovera espressamente – tra le altre “altre situazioni idonee a porre in dubbio l’integrità (intesa come moralità professionale) o l’affidabilità (intesa come reale capacità tecnico professionale) dell’operatore economico– “i provvedimenti esecutivi dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM) di condanna per pratiche commerciali scorrette o per illeciti antitrust gravi aventi effetti sulla contrattualistica pubblica e posti in essere nel medesimo mercato oggetto del contratto da affidare”. L’ANAC, dunque, riconduce alle cause di esclusione per gravi illeciti professionali di cui all’art. 80, comma 5, lett. c) – seppur all’esito di contraddittorio e previa valutazione di eventuali misure di c.d. self cleaning – i provvedimenti meramente esecutivi dell’Autorità, per illeciti antitrust gravi, nonché per pratiche commerciali scorrette, perché ritenuti idonei a porre in dubbio l’integrità e/o l’affidabilità dell’operatore economico.

Assodata l’esiziale rilevanze ai fini dell’esclusione dalla gara delle sanzioni di cui trattiamo, al momento di rendere le dichiarazioni di gara nel DGUE, l’operatore economico è quindi tenuto ad una piena disclosure degli eventi potenzialmente rilevanti (Consiglio di Stato n.4192/2017), inclusi gli illeciti antitrust non definitivamente accertati (TAR Lazio n.12640/2017). Sarà poi la commissione di gara a dover motivare congruamente le proprie scelte e, assumendosi le relative responsabilità, a giustificare un’eventuale ammissione nonostante il provvedimento sanzionatorio divenuto definitivo.

L’illecito concorrenziale assurge, infatti, come motivo ostativo alla stessa partecipazione alle gare indette per l’affidamento di commesse pubbliche degli operatori economici, nel caso si fossero “macchiati” del compimento di tale tipologia di illecito, posto in essere nel medesimo mercato e avente effetto all’interno della contrattualistica pubblica.

Ed è per questa ragione che la giurisprudenza ha più volte ribadito che l’accertamento di un illecito antitrust, per un verso, fa venire meno gli elementi dell’integrità e dell’affidabilità dell’operatore economico (tale da ledere il rapporto fiduciario intercorrente con l’amministrazione procedente) e, per altro verso, impone una sua attenta valutazione a meno di non voler, illegittimamente, violare il principio della par condicio competitorum. L’azione amministrativa deve essere, infatti, volta alla tutela della massima partecipazione degli operatori economici sul mercato, in condizioni di trasparenza, di proporzionalità ed efficacia, al fine di una corretta allocazione delle risorse e senza che alcun fenomeno di tipo distorsivo porti inefficienza al sistema.

La ratio pertanto della disciplina in esamina si fonda su una concezione pro-concorrenziale, senza che le restrizioni apportate al mercato comportino alcun danno, soprattutto nei confronti di quelle piccole e medie imprese (quali ad esempio i cd. “posatori di barriere” che non producono nessun tipo di guardrail), le quali, per le loro modeste dimensioni, sono le prime a soffrire di comportamenti illegittimi da parte delle stazioni appaltanti.

Questo il quadro entro il quale occorre muoversi: l’avvenuto accertamento della sussistenza dell’illecito concorrenziale, posto in essere in condizioni di terzietà da parte dell’Autorità stessa e nel rispetto del diritto di difesa, rende impossibile (o comunque altamente improbabile), alla luce di una concreta valutazione dei fatti, la partecipazione alla gara pubblica dell’impresa sanzionata.

Ebbene – senza voler scendere nel dettaglio dell’esecutività/inoppugnabilità dei vari provvedimenti che hanno colpito i produttori di barriere stradali – chiediamo agli operatori del settore:

  • come si stanno comportando le stazioni appaltanti?
  • le imprese destinatarie del provvedimento sanzionatorio dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato vengono escluse o ammesse alle procedure di appalto? E con quali motivazioni?
  • i soggetti interessati provvedono ad indicare nel DGUE l’esistenza del Provvedimento sanzionatorio dell’AGCM e le eventuali misure di self cleaning?
  • quali sono state gli effetti concreti, in termini di più aperta concorrenza, di questa lunga indagine e querelle giudiziaria?
  • la ‘perimetrazione’ della platea dei potenziali concorrenti, di fatto, circoscritta ai “Fabbricanti dei dispositivi offerti” (per effetto delle previsioni di alcuni disciplinari di gara di Autostrade per l’Italia, che abbiamo già avuto modo di analizzare nel nostro precedente articolo “Barriere di sicurezza stradali: posatori fuori dagli appalti di lavori!”) che conseguenze ha prodotto? Ed in che modo si pone con quanto sin qui illustrato?

– fine seconda parte –

AppaltiLeaks® – Riproduzione riservata – 18 settembre 2019

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