ANAC “denuncia” ANAS alla Corte dei Conti e Procura della Repubblica. Gestione del contenzioso lavori fuori dalle regole. Una buco da 10,6 Mld/€ che mette a rischio i conti pubblici dello Stato. Ecco le vere cause.

26 giugno 2017: viene depositata, in Segreteria dell’Autorità Nazionale Anticorruzione, la Delibera numero 643 del 14 giugno 2017 in ordine all’utilizzo, da parte di ANAS spa, dell’istituto della transazione e dell’accordo bonario di cui agli artt. 239 e 240 del d.lgs. 163/06 relativamente all’attività negoziale preordinata all’acquisizione di lavori, servizi e forniture con particolare riferimento alla fase di esecuzione del contratto.

Si tratta, in estrema sintesi, del risultato dell’attività ispettiva avviata, su impulso del Presidente Cantone, per “operare una puntuale ricognizione sul contenzioso risolto e/o attualmente pendente presso ANAS spa al fine di valutare il rispetto delle norme di legge vigenti in materia con particolare riferimento agli strumenti stragiudiziali, quali gli accordi bonari e le transazioni, attivati in fase di esecuzione dei lavori dal 2012 all’ottobre 2015”.

Le cifre sono da capogiro, sfiorano livelli tali da dover imporre quasi una manovra finanziaria ed il quadro che viene (soltanto) tratteggiato conferma il totale mancato rispetto delle normativa vigente.

Il contenzioso non definito ammonta, alla lontana data dell’ottobre 2015, “a 10,6 Mld/€ di cui 8,6 Mld/€ relativi a riserve iscritte sui lavori equamente ripartiti tra contenziosi pendenti in sede giudiziale e contenziosi pendenti stragiudiziali”.

La deliberazione di cui parliamo illustra le attività ispettive eseguite, la corrispondenza intercorsa tra ANAC e via Monzambano ed anche le iniziative assunte per la definizione di questo ciclopica voragine nei conti pubblici (il “Piano straordinario di componimento del contenzioso“) e si conclude con una censura (soft) ed un richiamo delle responsabilità disciplinari e contabili, potenzialmente, ascrivibili in capo ai soggetti artefici di tale critico stato delle cose.

Apparentemente tanto lavoro per nulla, ma forse solo apparentemente.

Anche perché, con tutto il rispetto per il dott. Cantone, attendevamo molto di più, soprattutto in punto di analisi del rapporto causa-effetto alla base di questa drammatica situazione, ossia una disamina delle vere ragioni che alimentano, quotidianamente, la spirale inflattiva del contenzioso lavori.

Ad ogni modo – visto che questo “vaso di Pandora” è stato ormai aperto e che nella medesima delibera è stata ordinata la trasmissione di “una dettagliata relazione di aggiornamento sullo stato del contenzioso pendente e definito al 31.12.2017 completa di apposita disamina circa le ragioni e le specifiche motivazioni alla base delle vertenze instauratesi in corso d’opera con le imprese esecutrici, corredata dei necessari elementi documentali di supporto” – non dobbiamo essere pessimisti!

Evitiamo comunque che che questo “vaso di Pandora” possa essere frettolosamente richiuso e tentiamo di supportare sia l’ANAC sia chi ha ereditato questa devastata società pubblica ad adempiere ai propri doveri ed a non rendersi complice (ancorché involontario) di tale disastro gestionale, economico e finanziario.

AppaltiLeaks intende, infatti, mettere sul tavolo alcuni elementi di riflessione con la speranza che, a questa prima indagine, ne possano seguire altre (ben più approfondite ed invasive) soprattutto da parte della Procura della Repubblica di Roma che, meno di due anni, si occupò già dell’ANAS anche se limitatamente ad un perimetro investigativo che tutti definiscono la “punta dell’iceberg”.

D’altro canto nelle battute finali della stessa Delibera n.643, è proprio il dott. Cantone ad invocarne l’intervento: “si dispone l’invio della presente deliberazione alla Procura Generale della Corte dei Conti e alla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Roma per i profili di eventuale competenza”.

Evidentemente il Presidente dell’ANAC ha scoperto molto più di quel che possiamo apprendere dal documento in esame o, forse, ha voluto ovviare ad un’omessa informativa agli organi inquirenti o ancora, più semplicemente, prendere definitivamente le distanze da un Ente che, lui, ritiene essere rimasto identico a quello che era (ricordate il famoso fuori onda de LE IENE, “l’ANAS non cambierà mai…”? vedi qui)

E tutto ciò, forse, anche per l’atteggiamento apparentemente assolutorio di ANAS (verso i soggetti funzionalmente responsabili) che traspare da alcuni stralci della delibera in esame e che offre l’immagine di una governace, apparentemente, distante dall’iniziale, dichiarata, volontà di “normalizzare” la società («[…] il rapporto tra DL e RUP è costante e caratterizzato da prassi generate dalla quotidianità. Ciò comporta, in concreto, che alcune informazioni vengano scambiate tra i due per le vie brevi, compresi gli aggiornamenti in merito all’andamento delle riserve. […] In ragione di quanto sopra esposto, gli intervalli di tempo registrati non si configurano quindi quali ritardi in senso stretto ma piuttosto quali effetti di una interpretazione “sostanziale” della norma, […] Questa è la ragione per cui in molti casi i procedimenti di accordo bonario si sono svolti a fine lavori (ultimo SAL/stato finale) […]».

Ma l’ANAC non si fa convincere e sentenzia che “un procedimento così delicato come quello in esame non possa essere certo affidato a prassi basate su comunicazioni informali tra DL e RUP e che eventuali ritardi nelle procedure addebitabili alla S.A. possono essere dall’Appaltatore fatti valere in sede di contenzioso. Inoltre, si evidenzia che l’art.240, comma 15, nello stabilire il limite del 10% entro cui può variare a seguito dell’iscrizione di riserve l’importo economico dell’opera non lascia alcun margine di interpretazione al relativo dato testuale che non presenta pertanto particolari difficoltà di comprensione, rendendo di agevole applicazione la norma stessa.

Traduciamo: neppure la formalità è stata rispettata… 

Ma, a parte tutto ciò, AppaltiLeaks si domanda:

  1. perché mai deve essere il Dott. Cantone ad informare la Corte dei Conti di quanto ha scoperto, quando da decenni la stessa Direzione Generale dell’ANAS Spa ospita al suo interno un magistrato, appositamente designato per controllarla, per assistere alle riunioni del consiglio di amministrazione e del collegio sindacale e per verificare che la gestione si attenga ai parametri di legittimità e adotti criteri di efficacia e economicità (vedi qui)?
  2. dove erano e cosa hanno fatto, fino ad oggi, il Collegio Sindacale e l’Internal Auditing?
  3. l’ANAC ha avuto modo di interrogarsi e verificare quale sia stata la funzione svolta dalla cd. “Unità Riserve” appositamente creata molti anni fa?
  4. perché ad ogni accordo bonario andato in porto non è stata immediatamente effettuata una segnalazione alla Corte dei Conti cosi come prevedeva espressamente una norma regolamentare interna (vedi Disposizione 74/2008 e Disposizione 193/2008)? può escludersi l’esistenza di condotte penalmente rilevanti in capo a coloro che hanno, quindi, deliberatamente omesso di effettuare tali segnalazioni con conseguente intervento della prescrizione per i danni erariali cagionati dai propri colleghi?
  5. perché gli atti compiuti dai progettisti, dai direttore dei lavori, dal responsabile del procedimento sembrano non essere stati segnalati alla Procura della Repubblica, come invece fa il dott. Cantone?
  6. esistono profili di reato per l’indebito vantaggio economico procurato alle imprese beneficiate dall’avvio e dall’espletamento di una procedura di accordo bonario oggi dichiarata come illegittima?
  7. perché non è mai stato attivato alcun procedimento disciplinare (almeno per quanto ci risulta) da parte dei vertici di ANAS nei confronti dei relativi responsabili?
  8. quali saranno le iniziative che assumerà il Presidente dell’ANAS per questo immenso e perdurante danno di immagine procurato alla società di appartenenza da numerosissimi propri dipendenti (molti dei quali anche oggi ai massimi vertici della struttura organizzativa) così come denunciato da ANAC?
  9. se ci si è accorti che tutte queste procedure erano state, per vari motivi, illegittime perché non si è optato per la transazione disciplinata dall’art.239 del DLgs 163/2006 con conseguente interessamento dell’Avvocatura dello Stato? Perché si è continuato a nominare commissioni e consulenti piuttosto che avvantaggiarsi dell’asettica difesa della medesima Avvocatura?
  10. come è mai possibile che il rischio (anche solo parziale) di soccombenza in questo gigantesco contenzioso non abbia impedito la determinazione di un utile di bilancio per Anas spa? Se è vero quanto rilevato dall’ANAC nel corso della sua indagine (“… gli accordi vengono raggiunti per importi notevolmente inferiori, con una media di circa il 13-14% del petitum per gli accordi bonari definiti dalla Commissione ex art. 240 del d.lgs. n. 163/2006 e di circa il 18% per quelli conclusi su proposta del Responsabile del Procedimento”) e che, quindi, gli 8,6 Mld/€ di contenzioso lavori produrranno un costo di almeno un miliardo e duecentomila euro (13% di 8,6 Mld/€), può ritenersi effettivamente capiente il fondo rischi appostato nel bilancio 2015 per “soli” 756 milioni?

Ecco, a queste (ed infinite altre) domande speriamo che si possa ottenere una qualche risposta. Anche se, probabilmente, non avremo questa soddisfazione, non vi sarà alcun processo di Norimberga e dovremo solo prestar fede a chi assicura che il futuro sarà migliore del passato.

Poichè, come detto, il dott. Cantone si è dimostrato interessato ad approfondire “le ragioni e le specifiche motivazioni alla base delle vertenze instauratesi in corso d’opera con le imprese esecutrici” cerchiamo di evitare, però, che l’opinione pubblica e gli organi inquirenti non siano indotti a guardare il dito (la drammatica gestione delle procedure di accordo bonario) e non la luna che esso indica (le ragioni stesse del contenzioso).

Il vero problema risiede, infatti, sul PERCHÉ si determini il contenzioso sui lavori e non tanto sul COME la sua risoluzione venga affrontata.

Anche perché, ci segnalano, negli ultimi tempi sembra rafforzarsi una strategia tendente a rigettare sempre e comunque le riserve dell’appaltatore, con la conseguenza di “spostare” il nuovo contenzioso nelle aule dei tribunali e di ridurre il numero delle procedure attivate con il sistema dell’accordo bonario (e se questo fosse vero significherebbe solo aumentare il costo finale di una sicura soccombenza oltre che eludere il principio deflattivo della controversia che l’istituto vorrebbe perseguire).

Insomma, parafrasando Voltaire (“Ciò che chiamiamo caso non è e non può essere altro che la causa ignorata di un effetto noto“), occorre interrogarsi, in modo definitivo, sulle cause (volutamente sottaciute e/o ignorate) di questa gravissima criticità gestionale (unica per dimensioni e consolidata ripetitività) della società stradale nazionale.

Ecco quello che succede in Italia.

Le pretese dell’appaltatore nei confronti dell’amministrazione possono suddividersi, come è noto, in tre grandi gruppi:

1) maggiori compensi rispetto a quelli definiti nella contabilità dei lavori (ciò accade quando, ad esempio, l’appaltatore ritenga vi siano errori riferiti alle quantità contabilizzate o all’erronea attribuzione dei prezzi o, ancora, quando il Direttore dei Lavori abbia ordinato l’esecuzione di lavorazioni ulteriori rispetto a quelle previste nel progetto esecutivo);
2) pretese di natura risarcitoria, dovuti a comportamenti illeciti dell’amministrazione (es. una sospensione dei lavori illegittima, indisponibilità delle aree al momento della consegna, esistenza di interferenze non risolte, carenze progettuali, etc.);
3) fatti di forza maggiore che rendono più onerosa la prestazione dell’appaltatore (es. un imprevisto geologico).

In estrema sintesi, senza voler declinare nel dettaglio l’istituto della riserva contabile, è possibile affermare che i risarcimenti danni avanzati dall’appaltatore sono comunemente correlati a gravi carenze progettuali o ad un illecito contrattuale e, quindi, ascrivibili alla responsabilità degli agenti della stazione appaltante preposti all’ingegnerizzazione dell’opera da eseguire o alla conduzione dell’appalto.

In pratica, a meno di rarissimi “casi di scuola” (ossia di fattispecie imprevedibili nonostante l’effettuazione di indagini geologiche, idrogeologiche, idrologiche, idrauliche, geotecniche, sismiche, storiche, paesaggistiche ed urbanistiche e di verifiche preventive dell’interesse archeologico), accade che nel corso della fase esecutiva dell’appalto emergano – in tutta la loro esiziale portata – i difetti, le mancanze e le approssimazioni del progetto esecutivo posto a base di gara per la cui risoluzione la prassi ordinariamente seguita offre una duplice alternativa: o si riesce a far approvare una perizia di variante (spesso camuffata come “migliorativa” per ovviare alle strette maglie che la Legge impone e per eludere i controlli ANAC) o è inevitabile che l’impresa si determini ad iscrivere delle riserve in contabilità.

E se qualcuno volesse sostenere il contrario, AppaltiLeaks manifesta sin d’ora la propria disponibilità a confrontarsi su fattispecie concrete o, anche, sulla copiosa documentazione di cui già dispone.

Ma torniamo al discorso che stavamo sviluppando.

Le ragioni della scelta tra queste due alternative dipendono da vari fattori: dal rapporto che si instaura tra management, rup, direttore dei lavori (da una parte) ed impresa appaltatrice (dall’altra), dalle dimensioni degli interventi correttivi, dalle capacità e competenze dei vari soggetti in campo, oltre che da molti altri motivi di cui è meglio non discutere in questa sede.

Ottenere una perizia di variante è sicuramente stata, da sempre, l’opzione privilegiata perché consente a qualunque stazione appaltante di “lavare i panni sporchi in famiglia” ed all’impresa una ghiotta occasione per “aggiustare”, senza troppa pubblicità, il progetto iniziale con sostituzione delle lavorazioni più onerose, l’inserimento di prezzi più remunerativi, l’eliminazione di molti problemi di cantierizzazione ed il recupero di parte di quell’insostenibile ribasso che le aveva consentito di aggiudicarsi la commessa.

Quando ciò non è possibile l’appaltatore, esperito ogni infruttuoso tentativo, iscrive le riserve contabili e le reitera ed integra fino al collaudo.

Questo il quadro generale, costellato poi di una miriade di fattispecie, a dir poco, esilaranti: consegne dei lavori fatte a tavolino mentre sui luoghi dove dovrebbero eseguirsi i lavori opera ancora un’altra impresa, interferenze alla luce del sole né previste né tantomeno risolte, assenza di pareri necessari, lavori di posa in opera di barriere stradali affidati nonostante l’entrata in crisi dell’accordo quadro relativo alla fornitura e l’indisponibilità della barriere stesse, impossibilità tecnica di eseguire le lavorazioni, verifiche e validazioni firmate senza neppure sfogliare il progetto, mancanza di prezzi, lavori ordinati a voce, lavori ordinati per iscritto ma da soggetti privi dei necessari poteri, atti di riconoscimento di debito, riserve “stranamente” accolte dai medesimi direttore dei lavori e rup che le avevano in un primo tempo ritenute inammissibili o manifestamente infondate e così via.

Fino ad arrivare a casi emblematici, apparentemente non trattati oggi dal dott. Cantone.

Sarebbe, infatti, interessante conoscere con quale ricorrenza l’accordo bonario sia stato attivato (0 addirittura concluso) – nel periodo in esame – nonostante il chiaro dettato normativo dell’art.240 bis del vecchio codice degli appalti (purtroppo per l’Erario, non reiterato dalla nuova normativa del 2016): “L’importo complessivo delle riserve non può in ogni caso essere superiore al venti per cento dell’importo contrattuale” e “Non possono essere oggetto di riserva gli aspetti progettuali che, ai sensi dell’articolo 112 e del regolamento, sono stati oggetto di verifica”.

Siamo sicuri che se queste norme non fossero state deliberatamente disattese le cifre di cui discutiamo si ridurrebbero notevolmente e, ciò, tanto più in relazione a quanto riportato nella stessa Delibera 64/2017 (“Tale considerazione appare, invero, almeno in parte confermata dal fatto che effettivamente le richieste risarcitorie sono molto elevate rispetto all’importo del contratto, con punte fino al 300%”).

In pratica, a voler rispettare la normativa, qualora l’impresa avesse iscritto riserve per un ammontare superiore al 20% dell’importo contrattuale o il progetto risultasse formalmente validato, avrebbe dovuto essere preclusa la possibilità anche solo di avviare l’accordo bonario e non sarebbe residuata altra soluzione, per l’impresa, che quella di rivolgersi alla magistratura ordinaria.

O quella di ricorrere alla diversa procedura della transazione, disciplinata dall’art.239 del medesimo DLgs 163/2006, che però è molto più trasparente e responsabilizzante (“Per le amministrazioni aggiudicatrici e per gli enti aggiudicatori, se l’importo di ciò che detti soggetti concedono o rinunciano in sede di transazione eccede la somma di 100.000 euro, è necessario il parere dell’avvocatura che difende il soggetto …”) e, forse per questo, mai utilizzata.

E poi, ultimo ma non meno importante, il paradosso delle riserve iscritte dai contraenti generali!

Una barzelletta tutta italiana per la quale centinaia di milioni di euro rischieranno di essere regalati ad appaltatori che hanno redatto, essi stessi, il progetto esecutivo, che sono gli unici responsabili di un eventuale “andamento anomalo” del cantiere e che hanno avuto l’assurdo privilegio di scegliersi perfino il direttore dei lavori, primo “controllore” dell’ammissibilità e non manifesta infondatezza delle riserve; una circostanza che violenta la logica ancor prima della normativa.

Ma:

  • non si era detto che il contraente generale doveva provvedere all’esecuzione dei lavori “con qualsiasi mezzo” come recita l’art.176, comma 2, lettera d)?
  • non era vero che il contraente generale doveva farsi carico del rischio economico dell’opera, impegnandosi a fornire “un pacchetto finito” a prezzi, termini di consegna e qualità predeterminati contrattualmente in ragione della sua adeguata esperienza e capacità organizzativa, tecnico – realizzativa e finanziaria?
  • perché mai ed a quale titolo il contraente generale (così come il promotore di un project financig) può vantare risarcimenti per centinaia di milioni se l’art.176 del DLgs 163/2006 prevedeva espressamente che “restano a carico del contraente generale le eventuali varianti necessarie ad emendare i vizi o integrare le omissioni del progetto redatto dallo stesso e approvato dal soggetto aggiudicatore”.
  • tenuto conto che la più ampia libertà e responsabilità organizzativa posta in capo al contraente generale, rispetto a quella di un appalto tradizionale, non può non riverberarsi anche sulla valutazione delle riserve stesse, i maggiori oneri suscettibili di un riconoscimento economico in favore del contraente generale non dovrebbero essere limitati a quelli derivanti da circostanze del tutto imprevedibili, tali da non consentire una riprogrammazione delle attività, così come il calcolo dei maggiori tempi non dovrebbe essere limitato a quelli astrattamente necessari a consentire un adeguato correttivo nell’impiego delle risorse e non all’intera durata dell’impedimento?
  • ed, infine, quali sono, per l’Erario, le garanzie di affidabilità tecnico-amministrativa in ordine all’ammissibilità e manifesta fondatezza delle riserve discusse tra controllato (contraente generale) e controllore nominato dallo stesso controllato (direttore dei lavori)?

Per adesso ci fermiamo qui, attendendo lo sviluppo delle indagini di ANAC e, chissà, di altri organi inquirenti.

 

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