GUARDRAIL: RISCHI E INCERTEZZE DEI SISTEMI DI ANCORAGGIO

Mentre il programma di riqualificazione delle barriere di sicurezza stradali e autostradali è ancora lontano dall’essere completato, si rafforza l’idea di poter ricorrere ai cd. sistemi di ancoraggio. Va bene l’innovazione ma le norme di settore non prevedono la possibilità di apportare variazioni o modifiche successivamente all’installazione delle barriere che devono essere nuovamente certificate alla stessa stregua dei più moderni dispositivi.

PREMESSE

Nel luglio del 2019, l’Ufficio Ispettivo Territoriale di Roma del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti notificò alle società concessionarie autostradali le “Linee guida per la sostituzione e la riqualificazione delle barriere di sicurezza installate sulle infrastrutture”: un documento messo a punto, da un tavolo tecnico costituito ad hoc, dopo che la Direzione Generale Vigilanza Autostrade del medesimo dicastero aveva prescritto l’obbligo di procedere ad una profonda, reale e generalizzata riqualificazione dei dispositivi di ritenuta esistenti.

Tale iniziativa ministeriale venne assunta perché molti dei sistemi di ritenuta installati nella rete autostradale risalgono, ancora oggi, al secolo scorso (e più precisamente ad epoche antecedenti il 1988, quando venne approvato il “Catalogo generale delle barriere di sicurezza” dalla Quinta Sezione del Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici) e per dare finalmente impulso alla messa in sicurezza delle infrastrutture.

E, forse, anche per ovviare a decenni di pressoché inesistente vigilanza del Concedente (prima ANAS e poi Ministero delle Infrastrutture) sull’effettiva attuazione degli obblighi discendenti dalle concessioni e dei relativi piani finanziari.

Le Linee guida appena ricordate definirono il criterio di carattere generale di ordinamento relativo delle priorità di intervento che avrebbe, successivamente, dovuto essere contestualizzato alle peculiarità di ogni singola Concessionaria (tenuto anche conto della conformazione delle rete gestita e dei programmi già in essere) e obbligò a sostituire, a partire dai tratti più pericolosi, le barriere di sicurezza vetuste esistenti con sistemi di nuova generazione più performanti.

All’input ministeriale è, quindi, conseguita una rimodulazione dei piani di investimento delle varie concessionarie che – sia pur con differenti sensibilità, determinazione e capacità progettuale – hanno dato corso a un programma per la riqualifica di migliaia di chilometri di barriere spartitraffico di prima generazione, progettate con metodi tradizionali e non verificate con prove d’urto in scala reale, al fine di realizzare un reale ammodernamento della rete stradale e autostradale.

LA SITUAZIONE ATTUALE

A distanza di due anni dall’emanazione delle precitate Linee guida, il programma di riqualifica è, tuttavia, lontano dall’essere completato.

In occasione dell’Audizione presso la Camera dei Deputati dello scorso 20 maggio 2021, l’Ing. Placido Migliorino (Responsabile dell’Ufficio Ispettivo Territoriale di Roma) ha infatti confermato, dopo apposite ispezioni, che “in parecchie tratte autostradali, sono ancora presenti barriere vetuste la cui data si installazione risale agli anni ’80-’90 (barriere cosiddette da ‘Catalogo Blu’). Tali barriere forniscono capacità prestazionali che non sempre sono in grado di rispondere adeguatamente alla domanda di sicurezza generata dai nuovi assetti del parco mezzi circolante, oltreché dalla modificata esposizione delle tratte autostradali medesime. Ciò determina un innalzamento delle condizioni di rischio che rende necessaria la riqualifica di tali barriere. In aggiunta a quanto su esposto, le visite ispettive seguite dal mio Ufficio hanno messo in evidenza alcuni difetti che possono incidere in maniera rilevante sulla sicurezza della circolazione”.

L’installazione di nuove barriere validate attraverso crash test, omologate e marcate CE secondo la vigente normativa nazionale ed europea comporta, come è facilmente intuibile, l’impiego di enormi risorse economiche e finanziarie che – fermi restando gli obblighi previsti dai rispettivi piani finanziari – mal si conciliano con le aspettative reddituali degli azionisti delle concessionarie.

E, di conseguenza, è sempre più frequente il tentativo di individuare soluzioni tecniche suscettibili di dare “una seconda giovinezza” ai dispositivi esistenti evitandone (o, quantomeno, differendo nel tempo) la loro obbligata sostituzione: insomma una sorta di “riqualificazione preliminare” meno impattante sui bilanci delle concessionarie che, da decenni, hanno abituato i propri azionisti a profitti record ed alti valori nel listino di Borsa.

In tale contesto, come sempre accade, diversi operatori del settore hanno legittimamente intravisto un’opportunità di business e la possibilità di creare una lucrosa nicchia di mercato. Per tale ragione, sono state messe a punto e propagandate, con sempre maggiore incisività, alcune soluzioni tecniche capaci di ovviare a tutte quelle situazioni che comportano una diversa configurazione di installazione della barriera e, quindi, un diverso comportamento, rispetto alle condizioni nella quale è stata testata (campo prove): insomma, dei sistemi di ancoraggio progettati per garantire che una barriera di sicurezza installata (chissà quando e da chi) in un terreno con scarse caratteristiche meccaniche, abbia in caso di impatto un comportamento analogo a quello riscontrato durante le prove di crash.

Il criterio generale di funzionamento consiste – per tutte le soluzioni già presenti sul mercato o in corso di studio e brevetto – nel trasferire al sottofondo della pavimentazione stradale, attraverso ancoraggi agganciati ai pali di infissione della barriere, i carichi applicati al paletto ed al supporto. In pratica, queste installazioni (partendo dall’assunto che le caratteristiche di resistenza e geometria delle scarpate o degli arginelli potrebbero differire da quelle del terreno del campo prova) promettono di assicurare una deformazione plastica dei pali di infissione e la corretta dissipazione dell’energia d’impatto in caso di incidente.

Tant’è che una concessionaria autostradale, a quanto ci risulta, ha già iniziato massivamente ad applicarla.

Non è questa la sede per contestare la validità tecnica di tali soluzioni né, tantomeno, di confutare le evidenze scientifiche degli studi, delle ricerche e delle prove effettuate dagli stessi ideatori dei vari sistemi quanto, invece, quella di svolgere alcune riflessioni sulla compatibilità legale e amministrativa di tali “ancoraggi” con l’attuale assetto normativo (oltre che con le sopra richiamate Linee guida ministeriali) e, più in generale, sulle responsabilità che ne potrebbero derivare per il soggetto gestore dell’infrastruttura e per l’appaltatore in caso di incidente, peggio ancora se mortale, dopo la loro installazione.

ANCORAGGI DELLE BARRIERE: RISCHI E INCERTEZZE.

Com’è noto, le barriere di sicurezza devono essere progettate per deformarsi in maniera controllata attraverso una stretta interazione tra gli elementi costitutivi della barriera stessa ed il terreno di supporto: per tale ragione, nel corso del processo di certificazione CE, il “prodotto barriera” e il terreno di prova vengono sottoposti ad urti dinamici, indotti durante le prove di crash, per verificare se effettivamente reagiscono come un unico elemento.

Al fine di poter rispettare quanto previsto dall’art. 6 della Circolare del MIT del 21 luglio 2010, e cioè che l’installazione in situ di un dispositivo di ritenuta garantisca condizioni di funzionamento sostanzialmente analoghe a quelle delle prove di crash, è necessario che le caratteristiche del supporto siano confrontabili con quelle del terreno nel quale sono state eseguite le prove di certificazione. E noto, anche, che l’interazione palo/terreno ottenuta in sede di crash test è molto difficile (se non impossibile) da replicare laddove il terreno, come detto, non foose in grado di fornire le stesse caratteristiche in termini di resistenza e geometria rispetto a quello del campo prova.

Ma, non per questo, può considerarsi ragionevole aggirare il problema e – piuttosto che occuparsi della, tanto ovvia quanto inevitabile, differenza dei due luoghi di ubicazione – illudere il mondo intero di aver trovato la ‘pietra filosofale’ capace di trasformare la materia; ossia replicare fedelmente e senza alcun margine di approssimazione le prestazioni di contenimento certificate dal crash-test per mezzo della sola installazione di un sistema aggiuntivo non previsto da nessun Produttore di barriere.

L’inserimento degli ulteriori componenti di cui discutiamo (non previsti, come già detto, da alcun Manuale di corretto montaggio e installazione e, spesso, dal vago sapore dell’artigianato contadino) si presenta, infatti, un po’ come quegli escamotage per dimagrire senza perdere peso, una di quelle pancere snellenti per avere il ventre piatto in pochi minuti; insomma un qualche cosa in grado di aiutare, ma solo in apparenza, chiunque e dovunque, nascondendo magicamente le imperfezioni sottostanti …  

E ciò tanto più per il fatto che la promessa maggiore capacità di contenimento dovrebbe derivare dall’installazione di un unico stesso miracoloso componente nonostante la differente tipologia dei più svariati dispositivi ai quali “ancorarsi” e garantire (altrimenti non avrebbe alcun senso logico) prestazioni esattamente uguali a quelle verificate dall’Organismo Notificato in sede di crash test.

Poco importa se, attraverso l’utilizzo di software dedicati messi a punto dagli stesi ideatori, si sia capaci di “modulare” il sistema di applicazione: resta, pur sempre, una promessa alquanto impegnativa che fa sorgere più di un dubbio e che sovverte il giusto approccio al problema.

Una volta definite le tipologie e le classi dei dispositivi (esistenti o da installare) è necessario, infatti, predisporre un progetto, denominato Piano di Sistemazione su Strada, che giustifichi e descriva nel dettaglio l’intervento stesso. 

Nell’ambito di tale imprescindibile fase progettuale occorre svolgere ogni necessaria prova e indagine per caratterizzare lo stato dei luoghi e del supporto sul quale dovrà essere installato il dispositivo di sicurezza a nastri e paletti dando, espressamente, conto dell’assimilabilità dei terreni in sito con quelli relativi ai valori dei crash test. E laddove i terreni, sui quali verranno inseriti (o già esistano) i dispositivi di sicurezza, abbiano caratteristiche differenti da quelli di prova, è indispensabile segnalare nel progetto quali accorgimenti e trasformazioni il Progettista intende eseguire nei punti ritenuti non idonei avendo riguardo al fatto che le trasformazioni potranno riguardare sia il terreno in toto che le parti adiacenti all’infissione della barriera e tenendo sempre presente che le trasformazioni sulla barriera richiedono un ulteriore crash test di verifica al fine di pervenire ad una nuova marcatura CE del prodotto cosi modificato.

L’impiego degli “ancoraggi” di cui stiamo discutendo, non possono essere considerati – se non per logiche meramente commerciali – una modifica né “lieve” né “moderata” del prodotto barriera e, in assenza di una certificazione rilasciata da di un’Organismo Notificato certa e affidabile, nessuno può escludere che, in caso di incidente, le conseguenze possano essere anche peggiori del previsto. Né tantomeno è pensabile che i medesimi ancoraggi sia inseriti nel tessuto viario senza che il Progettista si assuma, formalmente, la piena responsabilità di un ancoraggio neppure immaginato dal Produttore di quella specifica barriera.  

Per non parlare del caso in cui l’applicazione di questi ancoraggi non avvenga in modo uniforme (o comunque coerente con la mutevole natura del terreno di infissione) dando luogo a tratti di barriere con differente capacità di contenimento e deflessione dinamica: in tal caso, un veicolo che urtasse contro la barriera nel tratto più deformabile potrebbe poi scontrarsi frontalmente con il tratto irrigidito dall’ancoraggio stesso, subendo una pericolosissima decelerazione per i suoi occupanti.

Non ce ne vogliano gli ideatori, i produttori e i rappresentanti di tali sistemi di ancoraggio! Non è AppaltiLeaks a sostenere questa tesi ma lo stesso Ispettore ministeriale, Ing. Migliorino che ha, chiaramente, ricordato al Parlamento che “Le norme di settore non prevedono la possibilità di apportare varianti o modifiche al progetto delle barriere o, per meglio dire, le eventuali variazioni al sistema che il progettista volesse apportare, successivamente all’installazione delle barriere medesime, dovranno essere certificate alla stessa stregua di nuovi dispositivi”.

IL POTENZIAMENTO DEGLI ARGINELLI.

L’argomento che stiamo trattando non può essere disgiunto dalle attività di potenziamento degli arginelli, un aspetto strettamente collegato all’efficacia prestazionale dei dispositivi di sicurezza installati, tradizionalmente realizzato attraverso il rafforzamento delle relative caratteristiche di portanza.

Tanto più perché, sempre in occasione della precitata Audizione parlamentare, lo stesso Ispettore ministeriale, Ing. Migliorino, ha altresì denunciato un’altra specifica criticità riguardante l’assenza o la ridotta presenza degli arginelli che “costituisce un’alterazione del comportamento del sistema di sicurezza, in quanto altera la formazione della cerniera plastica all’interno dei montati della barriera medesima. Conseguentemente tutta la deformazione del sistema di ritenuta, in caso di incidente, deve ritenersi alterata rispetto a quanto testato in sede di crash-test. La barriera in tal coso non può più considerarsi adeguatamente installata e tale da garantire i necessari standard di sicurezza”.

L’ipotesi di ‘potenziare’ gli arginelli attraverso l’applicazione di ancoraggi ausiliari con funzione di tirante sui singoli montanti della barriera, escludendo così l’allargamento dei rilevati e/o l’adeguamento del terreno sui quali sono infissi, significherebbe subire, sia pur inconsapevolmente e in buona fede, la sempre più pressante campagna pubblicitaria, commerciale e mediatica innescata dalle ‘innovazioni’ di cui stiamo parlando e, probabilmente, una non attenta e ragionata valutazione dei rischi tecnici, assicurativi e legali che potrebbero determinarsi in caso di incidente, ripetendo i gravi accadimenti del passato. Le due soluzioni per le quali sono state sollecitate apposite offerte migliorative non appaiono infatti, sotto questo aspetto, alternative e non sembrano poter essere poste sullo stesso piano.

Il “rafforzamento delle caratteristiche di portanza dell’arginello” non determina alcuna modifica del prodotto barriera, così come omologato e sottoposto a crash test, né determina potenziali responsabilità – tanto per la concessionaria quanto per l’appaltatore – come invece la posa in opera di ancoraggi ausiliari con funzione di tirante sui singoli montanti della barriera che, innegabilmente, alterano il sistema di ritenuta nel suo complesso e, comunque, costituiscono una profonda modifica della sua conformazione originaria. Almeno stando alle già richiamate affermazioni del Ministero delle Infrastrutture, Ente concedente e vigilante sulle attività delle concessionarie autostradali, secondo cui “Le norme di settore non prevedono la possibilità di apportare varianti o modifiche al progetto delle barriere o, per meglio dire, le eventuali variazioni al sistema che il progettista volesse apportare, successivamente all’installazione delle barriere medesime, dovranno essere certificate alla stessa stregua di nuovi dispositivi”.

A questo punto ci chiediamo:

  • come potrà mai propendersi – in luogo di un più logico ed efficace rafforzamento delle caratteristiche di portanza dell’arginello – per l’applicazione di sistemi di ancoraggio verificati, soltanto, in linea tecnica (ancorché con prove sperimentali) ma che, secondo il Ministero delle Infrastrutture, vìolano l’integrità della barriera alla quale vengono applicati?
  • come può concretamente consentirsi di inserire nel tessuto viario di componenti aggiuntivi non previsti dai nessuno dei rispettivi Manuali di installazione e montaggio delle barriere esistenti e che il Ministero afferma di poter impiegare solo dopo una nuova certificazione della barriera esistente “alla stessa stregua dei nuovi dispositivi”?
  • nel caso in cui le barriere siano risalenti nel tempo, chi e come potrà negare che, così operando, non si eluda di fatto l’obbligo di riqualificazione imposto dalle Linee guida ministeriali?
  • il Produttore della barriera (alla quale verranno applicati i medesimi ancoraggi) sarà ufficialmente coinvolto affinché rilasci una nuova certificazione ai sensi dell’art. 79, comma 17, del DPR 5 ottobre 2010, n.207?
  • in caso di mancato coinvolgimento del Produttore (anche per il semplice fatto che non è più presente sul mercato) come potranno essere collaudati i lavori, attesa la necessità della sussistenza, a tal fine, della certificazione di cui al punto precedente?
  • e, infine, siamo davvero sicuri che l’applicazione di tali ancoraggi su ogni singolo montante di ogni singolo metro di barriera esistente (ovviamente preceduta da una capillare campagna di indagine geognostica di tutto il tratto autostradale interessato dall’esecuzione dei lavori) sia economicamente sostenibile da quei concorrenti che l’abbiano proposta come miglioria in una gara da aggiudicarsi con il sistema dell’offerta economicamente più vantaggiosa, accollandosi il relativo onere? O bisogna aspettarsi che nella fase esecutiva, gli ancoraggi verranno applicati ‘a macchia di leopardo’ sulla base di sconosciute e soggettive valutazioni della direzione lavori…?

CONCLUSIONI

I materiali ed i componenti dei dispositivi di ritenuta devono avere le caratteristiche costruttive descritte nel progetto del prodotto utilizzato per le prove d’urto e nella dichiarazione di prestazione e della conseguente marcatura CE e sono ammesse le sole modifiche al prodotto standard come specificate nella dichiarazione di prestazione di prodotto modificato, in conformità a quanto prescritto dalla norma EN 1317-5.

Come statuito dal Ministero, nell’installazione delle barriere di sicurezza sono ammesse infatti modifiche localizzate al prodotto “marcato CE” ed alle condizioni d’installazione previste dal manuale d’installazione conseguenti alla natura del supporto o alla morfologia dei margini esterni della strada, quali a titolo esemplificativo e non esaustivo:

  • infissione ridotta di qualche paletto o tirafondo o variazione nel passo tra montante e montante, per uno sviluppo longitudinale di barriera interessato da tali modifiche non superiore a metri 5; 
  • modifica alle proprietà, consistenza e qualità del terreno (non dei montanti di infissione!) di supporto dei dispositivi a paletti infissi purché la modifica non alteri il funzionamento del dispositivo in caso d’urto.

Proprio per tali ragioni, nell’ordinanza del Gip di Avellino, Fabrizio Ciccone, che dispose il sequestro delle corsie contigue ai new jersey di una decina di viadotti lungo la A14, venne contestato il fatto che i lavori di sostituzione dei tirafondi “Liebig” con le barre filettate inghisate in malta cementizia avevano reso lo stato delle barriere “precario e inidoneo a garantire la tenuta delle stesse in caso di collisione sia con veicolo pesante, sia con veicolo leggero”.

Al di là dell’encomiabile impegno profuso da alcuni operatori per sperimentare nuove tecniche manutentive, gli ancoraggi ai quali abbiamo dedicato questo nostro intervento rischiano quindi di ripetere quanto già avvenuto e, speriamo certamente di no, mettere a rischio l’incolumità degli utenti in caso di incidente grave. Ma di sicuro, in tale non auspicabile evenienza, potranno originarsi contestazioni della Magistratura e dei suoi periti oltre che a lunghe battaglie tecnico-legali con le compagnie assicurative.

Insomma, in un’ottica costi-benefici, la cura potrebbe rivelarsi peggiore del male perché, giova ripeterlo “Le norme di settore non prevedono la possibilità di apportare varianti o modifiche al progetto delle barriere o, per meglio dire, le eventuali variazioni al sistema che il progettista volesse apportare, successivamente all’installazione delle barriere medesime, dovranno essere certificate alla stessa stregua di nuovi dispositivi”: in caso contrario “la barriera deve ritenersi non integra”.  

Anche perché, tenuto conto della necessità della preventiva esecuzione di nuovi crash test e del rilascio di una nuova certificazione per il prodotto marcato CE ‘modificato’, le autostrade italiane non possono trasformarsi in un gigantesco “laboratorio di prova” nel quale sperimentare prodotti che influenzano così incisivamente la plasticizzazione dei guardrail né eludere il percorso logico, tecnico e amministrativo che può consentire la legale applicazione di ulteriori componenti non previsti dall’originario Produttore.

Sembra proprio non esservi alternativa: bisogna proseguire, più speditamente possibile, nel programma di sostituzione delle barriere di sicurezza delineato dalla “Definizione criteri di priorità generali per la sostituzione barriere di sicurezza Bordo Ponte/Spartitraffico/Bordo Laterale” del luglio 2019. Se poi, in tale ambito, si vorrà comunque applicare tali ancoraggi occorrerà, comunque, una nuova certificazione della barriera che ne preveda espressamente l’inserimento, la tipologia e le relative modalità di installazione, montaggio e manutenzione.

AppaltiLeaks® – Riproduzione riservata – 18 ottobre 2021

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