L’Anticorruzione “agevola” l’uso dello strumento più utile alla corruzione. La rinascita della procedura negoziata.

ANAC 2016 – “L’indagine ha palesato il ricorso generalizzato e indiscriminato a procedure prive di evidenza pubblica, con il conseguente incremento di possibili fenomeni distorsivi che agevolano il radicarsi di prassi corruttive.” 

ANAC 2017 – “I lavori di importo inferiore a un milione di euro possono essere affidati col criterio del massimo ribasso anche se si utilizza la procedura negoziata invece di quella ordinaria.”

Il 19 febbraio 2015, l’ANAC diffuse un Comunicato del suo Presidente (segui questo link per scaricare il documento) nel quale venivano illustrati i risultati di un monitoraggio svolto circa l’utilizzo della procedura negoziata quale tipologia di scelta del contraente.

Un’indagine, in verità, molto parziale perché aveva a riferimento i soli Comuni capoluogo di regione relativamente al periodo 2011-2014 e le procedure di importo superiore ad € 40.000.

Nessun dato invece, né prima né dopo, sulle altre centinaia di enti locali, aziende sanitarie locali, ministeri e stazioni appaltanti che popolano il mare magnum degli appalti pubblici italiani.

Il quadro che veniva tratteggiato era, comunque, allarmante.

Per ciascun comune e per ciascuna tipologia di contratto (lavori, servizi e forniture) era stata calcolata la percentuale di contratti pubblici affidati con procedura negoziata (in termini di numero e di importo, rispetto alla totalità dei contratti pubblici attivati nello stesso periodo) e risultò che la media nazionale del ricorso alle procedure negoziate era pari al 60% in termini di numerosità ed al 34,66% in termini di importo.

Percentuali che” – a detta dello stesso Presidente dell’ANAC – “evidenziano una criticità, a livello nazionale, nell’applicazione del Codice dei contratti pubblici secondo il quale va adottata come regola la procedura aperta e come eccezione, da motivare, la procedura negoziata. Al contrario, i dati nazionali sulle procedure negoziate dimostrano l’utilizzo eccessivo di tale procedura.”

Ed illustrando i dati nel dettaglio, l’ANAC evidenziò alcuni particolari ancora più desolanti: “Per circa la metà dei comuni oggetto di indagine la percentuale del numero complessivo di appalti affidati nel periodo di riferimento con procedura negoziata è superiore all’80% degli appalti complessivi, quindi anche alla media nazionale pari al 60%.” rimarcando l’assoluta incongruità dei dati ottenuti “rispetto al carattere di eccezionalità attribuito a quel tipo di procedura dalla normativa vigente

Ai fini di una corretta valutazione degli esiti dell’analisi effettuata, andava peraltro considerato l’effetto provocato sul mercato dalla modifica normativa introdotte nel 2011 che “avendo innalzato da € 500.000 ad € 1.000.000 la soglia dei contratti di lavori al cui affidamento si può provvedere tramite procedura negoziata senza l’eccessivo formalismo previsto dall’art. 57 del Codice, ha comportato, come è facilmente desumibile, un netto incremento dell’utilizzo della procedura negoziata per appalti rientranti in quella fascia di importo”.

Dopo questo comunicato, si accavallarono le indagini delle procure di mezza Italia e, di pari passo, si accelerò per sostituire il vecchio codice degli appalti; come se tutti i mali derivassero da quello che c’era scritto lì dentro e non, invece, da come veniva letto.

Il Ministro delle Infrastrutture, i politici, i magistrati, gli opinionisti, gli esperti della materia e lo stesso Presidente dell’ANAC concordarono, tutti, sul fatto che era l’occasione buona per porre rimedio ai quegli strumenti che facilitavano la corruzione; occorreva, infatti, novellare il codice degli appalti di modo da: non avviare la gara in difetto di un progetto esecutivo degno di questo nome, ridurre la casistica per il ricorso all’appalto integrato, correggere la procedura dell’accordo bonario, eliminare la possibilità che il direttore dei lavori potesse essere nominato dal contraente generale e, per l’appunto, contrastare l’abuso della procedura negoziata.

Ma il tempo passato ed i buon propositi sono rimasti tali, anzi:

  1. il livello della progettazione non è affatto migliorato e, grazie all’escamotage dell’accordo quadro “all’italiana” la progettazione è scomparsa del tutto e centinaia di milioni di lavori vengono quotidianamente affidati nella più assoluta indeterminatezza ed arbitrio della stazione appaltante (a proposito, siamo ancora in attesa di sapere se l’ANAC starà dalla parte del Ministero delle Infrastrutture o dell’ANAS sulla nota vicenda sollevata dal primo);
  2. l’appalto integrato, solo in una prima fase vietato, sta lentamente risorgendo dalle ceneri;
  3. le riserve contabili continuano ad essere iscritte come sempre ma la strategia è cambiata: per far pulizia nei bilanci e fingere di essere più efficienti dei propri predecessori, il diktat è quello di rigettarle sempre e comunque, mettendo la polvere sotto il tappeto; il contenzioso, non è affatto diminuito, si sta solo progressivamente spostando nelle aule dei tribunali e la voragine dei risarcimenti emergerà fra qualche anno, quando i responsabili dei mancati accordi bonari saranno ormai altrove o in pensione;
  4. i direttori dei lavori non sono per il momento più nominati dai contraenti generali ma quelli, precedentemente designati, sono ancora accomodati sulle loro ricche e comode poltrone a tutto discapito della pubblica amministrazione e delle inchieste giudiziarie di questi ultimi due anni (vedi caso CoCIV ed ANAS).

E per quanto concerne la procedura negoziata?

Qui la situazione è ancora più paradossale.

Il D.lgs. 19 aprile 2017, n, 56 (cd. decreto correttivo) ha opportunamente elevato, per i lavori, da un milione a due milioni di euro la soglia in relazione alla quale è possibile l’utilizzo del criterio del massimo ribasso a condizione che l’affidamento dei lavori avvenga “con procedura ordinaria” e sulla base del progetto esecutivo.

Ma questa disposizione ha mandato da subito tutti nel panico; il prezioso “giochino” della procedura negoziata rischiava, così, di entrare definitivamente in crisi perché dalla lettura combinata delle varie disposizione se ne deduce che:

  1. i lavori di importo di importo inferiore a 1.000.000 di euro potevano essere affidati mediante procedura negoziata, ma con preclusione del criterio del minor prezzo, anche per il rinvio all’articolo 95, comma 4, lettera d);
  2. è ammesso il criterio del minor prezzo per i lavori di importo pari o inferiore a 2.000.000 di euro, a condizione che si ricorra alle procedure ordinarie a prescindere dall’importo.

Una norma così chiara da escludere una diversa interpretazione letterale e che non abbisognava di alcun soccorso ermeneutico circa le intenzioni del legislatore tant’è che, fino ad oggi, non è mai giunto alcun intervento normativo capace di attribuirle un senso diverso.

Tutto qui; le procedure negoziate si sono vertiginosamente ridotte e sembrava che la novella legislativa avesse efficacemente ovviato alle criticità registrate dall’ANAC nel corso del predetto monitoraggio.

Fino a quando il Ministero, retto da Graziano Del Rio, non ha preso carta e penna ed ha richiesto, proprio, ad ANAC se nel caso di procedura negoziata fosse possibile “utilizzare il criterio del massimo ribasso, con facoltà di esclusione automatica delle offerte anomale, ovvero se tale possibilità, a seguito del correttivo, sia subordinata al ricorso alle procedure ordinarie, e, in tal caso, cosa si intenda per “procedure ordinarie” (segui questo link per scaricare il documento).

Ed ecco che, dopo neppure una decina di giorni, giunge la pronta risposta dell’Autorità Anti-Corruzione: “… deve ritenersi possibile l’utilizzo del criterio del minor prezzo anche nelle procedure negoziate da 150 mila euro e fino a 1 milione di euro, di cui all’art.36, comma 2, lettera b) e c) …” (segui questo link per scaricarle il documento).

E da qui, grandi titoloni sui giornali e sui siti specializzati; una vera e propria standing ovation per un parere  salutato come salvifico per sbloccare l’operatività delle stazioni appaltanti, far ripartire i “piccoli lavori” e sciogliere i dubbi interpretativi.

Anche se rimane il dubbio che tale generalizzata euforia discendesse solo dalla rinnovata possibilità di procedere con il solito andazzo…

E sì, perché – al di là dalla sana e condivisibile opzione interpretativa fatta propria dall’ANAC (che, non vi è dubbio, pressupone il massimo rispetto dei principi di legalità, trasparenza e buon andamento della pubblica amministrazione) così come della sua reale portata normativa – non può essere sottaciuto che il quotidiano e massiccio ricorso a tale sistema di affidamento risponda al raggiungimento di altri e molto meno nobili obiettivi  da parte delle stazioni appaltanti.

Volendo spostare l’analisi sul piano pratico (ed a meno di negare la realtà) è difficile affermare che la procedura negoziata non sia quell’indispensabile strumento grazie al quale si riesce meglio a tutelare le clientele, dimostrare “rispetto e disciplina” nei confronti dell’alto management aziendale, ringraziare e rinnovare la fiducia dei propri sponsor politici, garantire quella “pax territoriale” per accontentare le imprese incapaci di competere in un confronto concorrenziale sempre più elevato o, molto più semplicemente, per fare affari lontano dai riflettori di una procedura aperta.

Molti sosterranno che non è così, che non si può criminalizzare l’intero mercato degli appalti, che esistono tanti funzionari ed operatori economici onesti.

Tutto vero, ma chi lo farà è probabilmente uno che non ha altri elementi per negare l’evidenza delle patologie che da sempre connotano le procedure negoziate.

Il problema (di cui mai si discute) non è l’istituto in sé bensì il meccanismo applicativo.

Nessuna stazione appaltante ha elaborato una procedura organizzativa gestionale capace di rendere la procedura negoziata totalmente asettica e perfettamente impermeabile ad ogni influenza (interna e/o esterna) che possa predeterminare l’aggiudicatario della commessa.

Fino a quando, infatti, la scelta degli invitati sarà a conoscenza anche di un solo funzionario della stazione appaltante (fosse anche il Responsabile del Procedimento, il Direttore Generale o l’Amministratore Delegato) il sistema sarà a rischio e non c’è alcun modo per dimostrare che le cose siano state fatte onestamente, se non appellandosi ad un atto di fede nei confronti di quello stesso unico uomo. Figurarsi se sono più di uno.

Se è vero che l’unico interesse della pubblica amministrazione è di individuare, velocemente e con una procedura meno complessa, un soggetto in possesso di tutti i requisiti richiesti e capace di offrire il miglior prezzo per l’esecuzione del lavoro, la concreta possibilità che ciò avvenga senza che nessuno sappia, preventivamente, chi è stato invitato alla procedura non sarà mai assicurata fin quando si continuano ad adottare strategie operative facilmente aggirabili. E’ noto, infatti, che l’individuazione dell’aggiudicatario è, molto spesso, “garantita” ancor prima che le offerte vengano spedite alla stazione appaltante e poi, inutilmente, chiuse in una cassaforte.

Se è vero che il metodo del prezzo più basso (con applicazione del sistema di esclusione automatica delle offerte anomale) rende più agevole l’affidamento dei piccoli lavori, è parimenti necessario che qualcuno – non coinvolto dal procedimento – verifichi in via preventiva l’esistenza della documentazione tecnica ed amministrativa necessaria per l’esatta determinazione delle relative prestazioni; e che queste ultime non vengano rimesse alla successiva “discrezionalità” dei soggetti preposti alla conduzione dell’appalto.

Se è vero che la lista delle imprese da invitare alla procedura negoziata è, spesso, “suggerita” dall’alto o, perfino, da uno degli stessi soggetti ricompresi nella lista, occorre adottare le possibili contromisure per evitare una così facile ed illecita turbativa.

Se la stazione appaltante è veramente efficiente, basterebbe programmare e progettare, per tempo ed in modo professionale, i propri acquisti senza nascondersi, poi, dietro la solita “finta urgenza” di una procedura negoziata.

Se la stazione appaltante non avesse alcun interesse occulto, non espleterebbe un’inutile pre-attività di “manifestazione di interesse” ma attingerebbe direttamente al Casellario delle imprese qualificate (ovviamente con sistemi trasparenti e tracciabili da chiunque) per estrapolare i nominativi delle imprese da invitare alla procedura negoziata.

Se la stazione appaltante non avesse nulla da nascondere, sarebbe un grande passo in avanti il pubblicare sul proprio portale:

  • la lista degli invitati con separata indicazione dei precedenti contratti assunti e delle procedure alle quali hanno rispettivamente partecipato,
  • il nominativo di chi ha materialmente scelto gli invitati,
  • i nominativi di tutti coloro che ne sono venuti materialmente a conoscenza (dalla segreteria del rup, all’ufficio protocollo e così via) della medesima lista,
  • le motivazioni per le quali i nominativi non sono stati attinti dal casellario delle imprese qualificate dell’ANAC, ma da inutili “pseudo-albi” istituiti da ogni singola stazione appaltante che non hanno motivo di esistere e che nessuno conosce,
  • i nominativi dei subappaltatori (dei cottimisti, dei fornitori con posa in opera, dei noleggiatori e di tutti gli altri subcontraenti) coinvolti dall’esecuzione di questi “così urgenti” lavori,
  • i documenti contabili ed amministrativi integrali di ciascuna procedura negoziata

Ma purtroppo così non è.

Le aree di rischio sono molteplici e finora sono rimaste prive di un efficace e sicuro presidio.

E l’incolpevole parere dell’ANAC rischia, così, di agevolare il contestato abuso della procedura negoziata ed il permanere delle patologie che la stessa contrasta. 

Il tempo, le inchieste giudiziarie ed i prossimi monitoraggi dell’ANAC ci diranno se abbiamo ragione oppure no.

Nel frattempo, qualora qualche nostro lettore volesse segnalare casi specifici e procedure anomale, che possano ulteriormente confermare quanto sopra illustrato, AppaltiLeaks sarà lieta di esaminarli e commentarli. 

 

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