“Superpoteri” ANAC. Pubblicato il nuovo regolamento, un’occasione persa per la regolarità degli appalti.

 

Ecco che ci risiamo!

Ancora una volta, titoloni di stampa, inspiegabilmente trionfalistici, che annunciano l’ennesima occasione persa per mettere un minimo di ordine nel mondo degli appalti e per costringere le stazioni appaltanti a rispettare le relative norme, anche le più elementari.

Non è infatti stato raro, in questi ultimi due anni, che la stampa ed i siti specializzati abbiano fatto da cassa di risonanza per provvedimenti, legislativi e non, che solo in apparenza andavano verso il segno della trasparenza, dell’anticorruzione e dell’efficienza della pubblica amministrazione, salvo poi dover essere smentiti dall’ANCE, dai partiti politici e dalle imprese che auspicano, invece e sempre più spesso, un deciso e rapido ritorno al passato.

Ma vediamo cosa è successo e perché andiamo, da subito, in controtendenza.

L’Autorità Nazionale Anticorruzione ha assunto la Delibera 13 giugno 2018 con la quale è stato adottato il “Regolamento sull’esercizio dei poteri di cui all’articolo 211, commi 1-bis e 1-ter, del decreto legislativo 18 aprile 2016, n.50 e successive modificazioni e integrazioni” (qui il testo completo); l’atto è stato pubblicato ed andrà in vigore dal prossimo 1° agosto.

[blockquote]In realtà, a differenza di quanti vorrebbero far credere il contrario, va subito chiarito che questo Regolamento non era affatto necessario per esercitare i precitati poteri (e, per quanto illustreremo, sarebbe stato meglio così) in quanto non rientra nel novero di quei provvedimenti attuativi obbligatori del Codice che, dopo oltre due anni, sono ancora in fase di gestazione perenne.[/blockquote]

L’art. 211, comma 1-quater, stabilisce infatti che “L’ANAC, con proprio regolamento, può individuare i casi o le tipologie di provvedimenti in relazione ai quali esercita i poteri di cui ai commi 1-bis e 1-ter” e NON “deve”.

Tanto più che con il decreto-legge 24 aprile 2017, n. 50 convertito dalla legge 21 giugno 2017, n. 96 è stato attribuito all’ANAC non più un potere sanzionatorio ma un mero potere impugnatorio assimilabile a quelli già riconosciuti ad altre amministrazioni.

Ed è per questo che più volte, anche di recente, abbiamo chiesto a gran voce di conoscere il motivo oscuro per il quale Cantone & Co. non utilizzassero mai il potente mezzo dell’impugnazione per porre un freno alle palesi ed insanabili illegittimità che la fantasia dei pubblici funzionari partoriscono quotidianamente.

Per non parlare dei casi, davvero imbarazzanti, in cui tali illegittimità erano state, prima, pubblicamente riconosciute dalla stessa ANAC ma poi (incredibilmente) tollerate ed affrancate per effetto della mancata impugnativa: vedasi, ad esempio, il caso descritto nella nostra Lettera al neo Ministro Toninelli a seguito del Parere ANAC del 27 settembre 2018.

Ma non è questo il punto fondamentale bensì il contenuto di questo ‘superfluo’ ed inadeguato “Regolamento”.

Taluni si dicono convinti che, grazie ad esso, la “ANAC sarà ancora più forte”, che “potrà impugnare davanti ai giudici amministrativi tutti gli atti di gara che si ritiene violino le norme in materia di contratti pubblici”, che “avrà un potere di intervento molto ampio” e che “il vero obiettivo della disposizione è di indurre le amministrazioni a conformarsi alle sue indicazioni circa atti illegittimi”.

A nostro modesto parere non è proprio così, anzi esattamente il contrario.

Pur nutrendo il massimo rispetto nei confronti dell’Autorità Anticorruzione e della professionalità di tutti i suoi Consiglieri, dirigenti, funzionari e dipendenti, riteniamo che il Regolamento in questione lasci, infatti, molto a desiderare e che gli effetti esiziali che si produrranno saranno antitetici rispetto a quelli sperati.

L’attuale articolo 211 del Codice prevede che:

1-bis L’ANAC è legittimata ad agire in giudizio per l’impugnazione dei bandi, degli altri atti generali e dei provvedimenti relativi a contratti di rilevante impatto, emessi da qualsiasi stazione appaltante, qualora ritenga che essi violino le norme in materia di contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture”

1-ter. L’ANAC, se ritiene che una stazione appaltante abbia adottato un provvedimento viziato da gravi violazioni del presente codice, emette, entro sessanta giorni dalla notizia della violazione, un parere motivato nel quale indica specificamente i vizi di legittimità riscontrati. Il parere è trasmesso alla stazione appaltante; se la stazione appaltante non vi si conforma entro il termine assegnato dall’ANAC, comunque non superiore a sessanta giorni dalla trasmissione, l’ANAC può presentare ricorso, entro i successivi trenta giorni, innanzi al giudice amministrativo. Si applica l’articolo 120 del codice del processo amministrativo di cui all’allegato 1 annesso al decreto legislativo 2luglio 2010, n. 104.”

Da tali disposizioni normative, l’ANAC ha dedotto che sussisterebbero due fattispecie distinte e, conseguentemente, con gli artt. 3 e 6 del Regolamento, ha disciplinato le differenti ipotesi del “Ricorso diretto” e del “Ricorso previo parere motivato”.

Probabilmente si tratta di una interpretazione errata e sarebbe stato preferibile scrutinare e disciplinare l’esercizio di tali poteri avendo riguardo ad un unico iter procedurale; non è escluso infatti che il Legislatore (anche se, come ben sappiamo, il Codice non è stato scritto da un fine giurista) abbia immaginato uno scenario molto più semplice di quello che ha richiesto più di un anno di lavori preparatori – inclusa una consultazione online – per essere tradotto in soli quindici articoli…

Riteniamo, infatti, che il comma 1-bis non abbia portata autonoma, ma si riferisca ai soli casi del comma 1-ter, sicché la legittimazione straordinaria dell’ANAC richiede che si tratti di bandi, atti generali, provvedimenti relativi a contratti di rilevante impatto, e che vi siano al contempo gravi violazioni.

Ed a leggere la Relazione Tecnica di accompagnamento al Decreto legge 24 aprile 2017, n.50 (all’interno della quale non vi è traccia dell’ipotizzata duplice fattispecie) sembra proprio che il comma 1-bis sia, unicamente, diretto a legittimare il potere di ANAC ad agire in giudizio (qualora la stessa ritenga che si violino le norme in materia di contratti pubblici) mentre il successivo comma 1-ter a disciplinare, invece, l’iter procedurale per l’esercizio di tale potere. 

Insomma, niente di nuovo ma solo un istituto modellato sulla falsariga del potere che l’art. 21-bis, l. n. 287/1990 conferisce all’AGCM, di impugnare, previo parere motivato che invita l’amministrazione a emendare i vizi di legittimità, i provvedimenti amministrativi illegittimi. impugnare, previa diffida, gli atti amministrativi illegittimi. L’ANAC diventa, come già l’AGCM, titolare di una legittimazione “straordinaria” basata non già sulla titolarità di un interesse legittimo, e un interesse concreto e attuale alla rimozione dell’atto, ma direttamente sull’interesse pubblico e generale alla legalità dell’azione pubblica. Un modello simile a quello del pubblico ministero nel processo penale o del procuratore presso la Corte dei conti. Un modello che introduce dunque, una legittimazione ad agire pubblicistica davanti al giudice amministrativo. 

E, a dire il vero, tale linea interpretativa sembra trovare maggior conforto nello stesso testo del successivo comma 1-quater a norma del quale sarebbe consentito l’utilizzo dello strumento regolamentare solo per “individuare i casi o le tipologie di provvedimenti in relazione ai quali esercitare i poteri” e NON, anche, di riscrivere la procedura operativa (peraltro già stabilità dal comma 1-ter) o addirittura di inventarsene due differenti.

[blockquote]Ad ogni modo, comunque la si voglia intendere, il Regolamento non convince affatto perché, ad una attenta lettura, pare che l’ANAC abbia voluto non solo, fortemente, autolimitare i poteri di cui gode ma anche ridurre al minimo i casi in cui, realisticamente, sarà chiamata ad esercitarli.[/blockquote]

Qui di seguito alcune nostre brevi osservazioni al riguardo.

A) Il “rilevante impatto” – Il “Ricorso diretto”, secondo il Regolamento, riguarderà solo gli atti gli atti relativi a contratti di rilevante impatto che secondo l’ANAC sono quelli:

a) che riguardino, anche potenzialmente, un ampio numero di operatori;

b) relativi ad interventi in occasione di grandi eventi di carattere sportivo, religioso, culturale o a contenuto economico, ad interventi disposti a seguito di calamità naturali, di interventi di realizzazione di grandi infrastrutture strategiche;

c) riconducibili a fattispecie criminose, situazioni anomale o sintomatiche di condotte illecite da parte delle stazioni appaltanti;

d) relativi ad opere, servizi o forniture aventi particolare impattosull’ambiente, il paesaggio, i beni culturali, il territorio, la salute, la sicurezza pubblica o la difesa nazionale;

e) aventi ad oggetto lavori di importo pari o superiore a 15 milioni di euro ovvero servizi e/o forniture di importo pari o superiore a 25 milioni di euro.

La classificazione non sembra giustificare un anno di riflessioni e consultazioni:

–      innanzitutto, perché il riferimento ‘quantitativo’ si pone inspiegabilmente molto al di sopra delle soglie comunitarie normative previste. E sarebbe veramente imbarazzante che un bando palesemente illegittimo – perché, ad esempio, riservato ai soli progettisti sposati con la figlia del RUP – non venga immediatamente impugnato dall’ANAC perché l’importo a base di gara è di ‘soli’ 24.000.000 di euro (…) 

–      per quanto concerne i contratti riconducibili a fattispecie criminose, situazioni anomale o sintomatiche di condotte illecite da parte delle stazioni appaltanti non comprendiamo, davvero, perché mai l’ANAC dovrebbe perdere tempo e denaro ad impugnare il provvedimento piuttosto che alzare il telefono ed allertare la Guardia di Finanza per avvalersi della sua collaborazione grazie all’apposito Protocollo di Intesa sottoscritto nel lontano settembre 2015;

–      per i contratti “relativi ad opere, servizi o forniture aventi particolare impatto sull’ambiente, il paesaggio, i beni culturali, il territorio, la salute, la sicurezza pubblica o la difesa nazionale” (lettera d) ci limitiamo ad osservare che la definizione non è delle migliori possibili e che, al fine di darle un senso, occorrerà quanto prima rimetterci mano per chiarire quale sia, a sua volta, il “particolare impatto” cui si fa rifermento, così come riconoscere i “grandi eventi” e le “grandi infrastrutture” cui si fa cenno alla lettera b);

–      per i contratti, infine, “che riguardino, anche potenzialmente, un ampio numero di operatori” l’ottimismo potrebbe trarre in inganno supponendo che, poiché è principio fondante degli appalti pubblici quello di attendere alla massima partecipazione, il rilevante impatto sussisterebbe sempre e comunque e, quindi, l’ANAC dovrebbe attrezzarsi, presto e bene, per impugnare qualsiasi bando illegittimo (anche di poche migliaia di euro). In verità, però, viviamo nel Paese in cui i divieti devono essere spesso rafforzati da un avverbio per essere minimamente efficaci (vedasi “È severamente vietato fumare”) e, quindi, una definizione così generica non aiuta a comprendere, chiaramente, se e quando l’ANAC si attiverà.

B) Legravi violazioni” – Il “Ricorso previo parere motivato” (seconda fattispecie creata dall’ANAC) sarà  possibile nell’ipotesi di gravi violazioni delle norme in materia di contratti pubblici che, sempre l’ANAC, riduce a quelle tassativamente elencate all’art. 6, comma 2.

Anche tale classificazione non appare adeguata e sufficiente:

–      ogni elenco tassativo, si sa, comporta il rischio di aver dimenticato qualcosa o di dover spiegare perché quel qualcosa non è stato volutamente inserito nell’elenco. Non sappiamo se si verta nella prima o nella seconda ipotesi ma di certo, a leggere il provvedimento pubblicato, sembra che l’ANAC ritenga che la carenza o l’assenza di un progetto esecutivo a base di gara non costituisca una grave violazione delle norme in materia di contratti pubblici o, ancora, che si possa sorvolare sulla mancata verifica e validazione della progettazione (laddove esistente). Ma come? Il nuovo codice non era stato scritto per ridare centralità alla progettazione stessa ed evitare contenziosi, riserve, varianti e correlati abusi e corruttele in fase esecutiva?

–      altra grave dimenticanza è quella riferita all’appalto integrato. Fino a quando non risorgerà dalle ceneri, sembra che il Regolamento impedirà ad ANAC di intervenire anche laddove la ‘furbetta’ stazione appaltante di turno vi farà ricorso in palese violazione dei limiti attualmente vigenti;

–      e poi, ultima ma non meno importante, l’assoluta indeterminatezza dell’appalto e l’uso distorto dell’accordo quadro. Ormai sono anni che ce ne occupiamo e speravamo, davvero, che l’ANAC non sprecasse questa occasione per mettere fine a questa grave patologia tutta italiana. Quantomeno per coerenza con la sua precedente Delibera n.483 del 23 Maggio 2018. Ma così sembra non essere avvenuto e quindi, con buona pace della maggioranza delle stazioni appaltanti e di pochissimi fortunati aggiudicatari, dobbiamo ritenere che nei prossimi anni il ‘mercato boario’ degli accordi quadro all’italiana riprenderà nuovo e rinnovato vigore. Quantomeno fino alle prossime indagini della magistratura penale.

E l’elenco potrebbe essere ancora più lungo. 

C) La “Acquisizione della notizia” – il Regolamento prevede che l’Autorità acquisisca la notizia della violazione “nell’esercizio della propria attività istituzionale, ordinariamente d’ufficio”. Qualora ciò non avvenisse (e, francamente, non riusciamo a capirne la ragione a meno di omissioni e colpevolezze dello stesso personale ANAC), l’Autorità valuterà con priorità le segnalazioni di violazione trasmesse dai alcuni soggetti predeterminati:

a) autorità giudiziaria amministrativa, ai sensi dell’art. 1, comma 32-bis, della legge 6 novembre 2012, n. 190;

b) pubblico ministero, ai sensi dell’art. 129, comma 3, delle disp. att. c.p.p.;

c) Avvocatura dello Stato, ai sensi dell’art. 19, comma 5, lettera a-bis) del decreto-legge 24 giugno 2014, n. 90;

d) ogni altra amministrazione o autorità pubblica, ivi compresa quella giudiziaria ordinaria e contabile.

Questa è, davvero, la parte più triste ed incomprensibile di tutta la Delibera in esame; soprattutto per il fatto di essere sottoscritta da chi ha sempre, giustamente, sostenuto che “la partecipazione dei cittadini rappresenta il vero argine alla corruzione, perché il controllo più autentico è quello esercitato dall’opinione pubblica“.

Ma davvero vogliamo credere che, con tutto quello che hanno da fare, i PM troveranno il tempo di analizzare i bandi di gara di una Comunità Montana e segnalare, in tempo reale, all’ANAC eventuali illegittimità? O che un TAR qualsiasi effettui la medesima segnalazione sollecitando, di fatto, l’ANAC a presentargli un ricorso? Per non parlare, poi, dell’ipotesi fantasiosa per la quale il Comune di Milano dovrebbe fare una ‘soffiata’ su una gara del Comune di Roma.

Suvvia, l’argomento è estremamente serio e meritava un approccio totalmente diverso!

Nell’epoca del whistle blowing, della democrazia diretta e della ‘rete’ chiamata ad esprimersi perfino su di un contratto di Governo, come possono essere relegati in ultima fila gli operatori economici che subiscono le illegittimità dei bandi, le associazioni di categoria che tutelano i loro interessi e gli stessi semplici cittadini che osservano quel che accade intorno a loro?

Perché l’Autorità “potrà” e non “dovrà” valutare le puntuali e circostanziate segnalazioni di violazioni che potrebbero pervenire da “terzi”?

Perché questi “terzi” non sono stati  riconosciuti come i “primi” a poter bussare alla porta di Cantone per segnalargli che i suoi collaboratori non si sono accorti di un fatto grave, che è stato bandito l’ennesimo appalto pilotato e che occorre subito intervenire prima che  scadano i termini per l’esercizio dell’azione in giudizio?

Un mistero o più semplicemente la comprensibile volontà di non essere subissati di pericolose e fondate segnalazioni?

Tutti ricorderanno che, dopo l’emanazione del Decreto 19 aprile 2017 n. 56, seguì la forte protesta di Cantone ed i poteri temporaneamente ‘scippati’ gli furono prontamente  riconsegnati con il Decreto legge 24 aprile 2017, n. 50, articolo 52-ter.

Bene, se questo è il modo in cui dovrebbero essere finalmente esercitati da chi deve assolvere all’importantissimo ruolo di vigilanza, tanto valeva non perdere tempo ed occuparsi d’altro.

La montagna ha davvero partorito un topolino: forse anche un po’ cieco e sordo.

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