Grave errore professionale, dame nere e assenza di trasparenza. Tutto normale?

Perché (e con quali motivazioni) ANAS continua a contrarre con imprese rinviate a giudizio per gravi episodi di corruzione che vedono entrambe coinvolte nel medesimo processo? La costituzione di parte civile può coesistere con la figura di stazione appaltante nei confronti di uno stesso operatore economico? L’assenza di trasparenza è coerente con i principi etici e i modelli anticorruzione?

Avvertenza – Non nutriamo il benché minimo sospetto che quanto di seguito evidenziato possa ritenersi indice di pratiche volutamente illecite ma riteniamo che il comportamento dei commissari di gara, al pari dei responsabili del procedimento e dei  funzionari e dirigenti, a qualunque titolo, coinvolti dalla procedura di appalto debbano essere improntati alla massima trasparenza e rispettare gli obblighi di pubblicità chiaramente imposti dal codice degli appalti. Siamo pronti, comunque, a pubblicare atti, documenti e repliche di tutti coloro che volessero intervenire, se del caso confrontandoci su casi concreti. E se vi fosse qualche errore da parte nostra (dovuto alla mancata pubblicazione nella sezione ‘trasparenza’ del sito istituzionale dei dati previsti dall’art. 29 del d.lgs. 50/2016) non vi è alcun problema, non appena ci saranno forniti i dati ufficiali saremo ben lieti di darne conto ai nostri lettori.

*  *  *

1. Premessa

Il TAR Pescara, con una recente sentenza (la n. 22 del 15.01.2020), si è occupato di una controversia riguardante la mancata esclusione per omessa dichiarazione di fatti integranti “grave errore professionale” circa il rinvio a giudizio dell’amministratore e legale rappresentante di un’impresa per il reato di cui all’art.319 c.p. (corruzione), soggetto tenuto a rendere in sede di gara le dichiarazioni ex art. 80 d.lgs. 50/2016. Secondo il Collegio, la vicenda processuale – seppur non giunta al momento dell’indizione della gara nemmeno a condanna non definitiva né caratterizzata dall’adozione di misure cautelari a carico del legale rappresentante – avrebbe, ugualmente, dovuto essere indicata nelle dichiarazioni rese in sede di gara.

La prevalente giurisprudenza (anche comunitaria) afferma, infatti, che le informazioni dovute alla stazione appaltante comprendono ogni addebito subito in pregresse vicende professionali che possa rivelarsi utile all’amministrazione per valutare l’affidabilità e l’integrità dell’operatore economico e non solo, dunque, quelle informazioni che potrebbero dar luogo a provvedimenti espulsivi dalla procedura (Consiglio di Stato, sez. V, 3 settembre 2018, n. 5142; Consiglio di Stato, sez. V, 25 luglio 2018, n. 4532; Consiglio di Stato, sez. V, 11 giugno 2018, n. 3592).

È, dunque, rimesso alla stazione appaltante il potere di apprezzamento delle condotte dell’operatore economico che possono integrare un “grave illecito professionale”, tale da metterne in dubbio la sua integrità o affidabilità, anche oltre le ipotesi elencate nel medesimo articolo, sì da comprendere gli inadempimenti contrattuali “sub iudice” (Consiglio di Stato sez. III, 27 dicembre 2018, n. 7231; Consiglio di Stato, sez. V, 2 marzo 2018, n. 1299; Consiglio di Stato, sez. V, 7 gennaio 2020, n. 70) a prescindere dalla definitività degli accertamenti giudiziali, e dunque, anche a fronte di una richiesta di rinvio a giudizio (T.A.R. Lombardia Milano, sez. I, 16 maggio 2019, n. 1120) ferma restando tuttavia la necessità di una congrua motivazione da parte della stazione appaltante circa l’inaffidabilità.

E, cosa ancora più importante, gli elementi rilevanti ai fini dell’operatività della citata norma possono essere desunti anche da fatti oggetto di un procedimento penale (T.A.R. Lazio, Roma, sez. II, 30 gennaio 2018, n. 1092; Consiglio di Stato, Sez. V, 27 febbraio 2019, n. 1367). È stato, da tempo, infatti chiarito come “aderire alla prospettazione delle parti resistenti, che ritengono irrilevante il provvedimento interdittivo, poiché adottato dall’Autorità giudiziaria penale e non da una stazione appaltante in seno ad una contestazione civilistica, condurrebbe al paradosso di attribuire valenza espulsiva agli illeciti professionali che abbiano determinato sanzioni negoziali, escludendola, invece, per quelli che sfociano in provvedimenti di rilevanza penale (evidentemente ben più gravi), con evidente violazione dei principi di coerenza dell’ordinamento, proporzionalità e ragionevolezza” (in tal senso v. Consiglio di Stato n. 4192/2017 e TAR Puglia, Bari, sez. I, 19 aprile 2018, n. 593).

La mancanza di tipizzazione, da parte dell’ordinamento, delle fattispecie a tale fine rilevanti, non comporta che i concorrenti dispongano di un filtro valutativo circa gli episodi di “errore grave” da far emergere in gara, e quindi di una loro facoltà di scelta dei fatti da denunciare. La gravità dell’evento, infatti, è ponderata dalla stazione appaltante, sicché l’operatore economico è tenuto a dichiarare lo stesso ed a rimettersi alla valutazione della stazione appaltante. Ne consegue che la mancata esternazione di un evento, anche se poi ritenuto non grave, comporta di norma, l’esclusione dalla gara specifica (Consiglio di Stato, n.4051/2017). L’omissione di tale dichiarazione non consente, infatti, all’amministrazione di poter svolgere correttamente e completamente la valutazione di affidabilità professionale dell’impresa e fa assumere alla domanda di partecipazione, resa in sede di gara, la natura di dichiarazione non già incompleta, ma non veritiera e pertanto non sanabile con il soccorso istruttorio di cui all’art. 38 c. 2 bis del d.lgs. 163/06 (Consiglio di Stato, sez, V, 27 settembre 2017, n. 4527; Consiglio di Stato n. 4227/2017; Consiglio di Stato n. 3652/2017; Consiglio di Stato, sez. III n. 2167/2017) (Consiglio di Stato sez. III, 13 giugno 2018, n. 3628).

2. Il caso ANAS.

Acclarato l’obbligo dichiarativo da parte del concorrente, occorre, tuttavia, svolgere ulteriori riflessioni sulle modalità attraverso le quali la stazione appaltante (e, quindi, non solo la Commissione di Gara) è obbligata a svolgere il giudizio di verifica del possesso dei requisiti morali. Tanto più quando questi elementi rientrano già nella sua disponibilità (perché, ad esempio, i fatti corruttivi oggetto del procedimento penale in corso hanno riguardato la stessa stazione appaltante) e, quindi, sono alla stessa perfettamente noti.

Analizziamo quindi, a mero titolo esemplificativo, il caso di ANAS Spa che, come si ricorderà, fu travolta a fine 2015 dal caso della cd. “Dama Nera”. Un’inchiesta giudiziaria che tenne banco su tutti i giornali e telegiornali italiani e fece tremare molti palazzi delle istituzioni e della politica; molti pensarono fosse il preludio di una nuova Tangentopoli ma, ben presto, ci si rese conto che avrebbe riguardato solo figure marginali e prive di autonomia decisionale, ivi inclusa quella stessa dirigente dall’italiano incerto e dalle amicizie potenti; una modesta figura di secondo piano (ci dicono, messa li consapevolmente dai massimi vertici aziendali nonostante un curriculum inadeguato e le tante voci di corridoio) che, pur non essendo in grado di garantire (da sola) alcun risultato, venne dipinta – anche grazie alle inconfutabili intercettazioni video ed ai suoi penosi discorsi in codice – come la “zarina malefica” della più grande stazione appaltante del nostro Paese.

Eppure la repentina chiusura delle indagini, lasciò sul tavolo una serie di interrogativi su quali fossero i veri contorni della vicenda giudiziaria e quale l’indefinito perimetro dei corresponsabili e dei compiacenti. Nel frattempo, partì un rimescolamento delle posizioni organizzative (come se spostando pastori e capre di qualche centimetro il Presepe potesse risultare migliore) ed alcuni furono persuasi del fatto che fosse stata, finalmente, ripristinata la legalità.  

Tanto ottimismo fu, rapidamente, smentito da una serie di incredibili accadimenti: in primis, l’inimmaginabile accordo per favorirne il patteggiamento della  medesima ”Dama Nera”, proposto  dallo stesso soggetto che, nel licenziarla, aveva annunciato in televisione di essersi costituito parte civile nel suo procedimento penale; una circostanza mai spiegata dall’A.D. dell’epoca, Gianni Vittorio Armani, che nel mentre garantì diverse sorti ad altri dipendenti che sarebbero stati, probabilmente, coinvolti dagli sviluppi del processo senza quello stesso incredibile patteggiamento (alcuni beneficiati da buonuscite milionarie, altri mantenuti al proprio posto o semplicemente trasferiti) spalancò le porte dell’azienda (come ha documentato il servizio-denuncia de Le Iene di Italia 1) ad amici e raccomandati senza concorso.

E così si diede avvio alla stagione delle nomine dirigenziali a soggetti privi perfino del diploma di laurea (e coinvolti in altre inchieste giudiziarie) e, novità delle novità, dell’uso e abuso dell’istituto dell’accordo quadro che, neppure la Dama Nera, era stata capace di immaginare.

Una stagione (triste e brevissima) terminata sotto il peso di numerose interrogazioni parlamentari, poi di fatto messe a tacere e rimaste prive di risposta della politica e della magistratura, circa i misteri di ANAS International e dei milioni di euro spesi non si sa bene il perché, le oscure partnership nel Medio Oriente, i dubbi sulla regolarità e la trasparenza degli appalti, lo stesso accordo transattivo con la Dama Nera e le alchimie di bilancio da più parti denunciate.

Per approfondire leggi anche ANAS: nuove interrogazioni parlamentari sulla gestione Armani. Arriveranno mai le risposte?

Il manager che diceva “di non potersi fidare di nessuno” (ma di cui, alla fine, nessuno si fidò più) fu accompagnato alla porta anche lui con un assegno a molti zeri e iniziò un nuovo ciclo di gestione ANAS che speravamo fosse, davvero, un punto di svolta.

Ma in tutto questo periodo cosa è successo alle imprese coinvolte dall’inchiesta?

All’esito dell’udienza preliminare, il GUP del Tribunale di Roma (dott. Ezio Damizia) dispose il rinvio al giudizio di tutti gli imputati nel procedimento “Dama Nera” che avevano scelto il rito ordinario e tra questi vi sono ben quattordici imprese di costruzione.

Il procedimento penale sta lentamente facendo il suo corso e, ovviamente, AppaltiLeaks non intende commentare né i fatti contestati né, tanto meno, l’esito delle indagini (forse troppo presto concluse).

Quello che ci interessa è richiamare l’attenzione sull’immutata operatività della gran parte delle imprese coinvolte che, negli anni successivi agli arresti, hanno continuato a partecipare a gare, ad acquisire appalti e, perfino, a  realizzare – con l’inevitabile assenso della stessa ANAS, che in quel processo si è costituita parte civile – cessioni d’appalto grazie a presunti rami d’azienda che sono passati di mano, perfino, tra le stesse imprese rinviate a giudizio.

Per approfondire leggi anche “Cessione d’appalto e trasferimento di ramo d’azienda (chi ci capisce è bravo)”.

 

Sì, certo, qualcuno potrà dire che sono state effettuate approfondite istruttorie amministrative e legali o, farsi scudo delle misure di self-cleaning adottate dagli operatori economici, ossia quei provvedimenti  “finalizzati  a stimolare ravvedimenti virtuosi e condotte orientate alla prevenzione, al fine di consentire all’impresa concorrente di dimostrare, ove ne ricorrano le condizioni, la sua affidabilità a dispetto della sussistenza di un motivo di esclusione”.

Non abbiamo dubbio che ciò sia avvenuto (ci mancherebbe altro …) ma qualcosa, comunque, non torna.

Nella specie, l’art. 57 della direttiva 2014/24 individua alcune situazioni concrete per effetto delle quali l’operatore può dimostrare il permanere della propria affidabilità, prevedendo delle specifiche fattispecie: a) avere risarcito o essersi impegnato a risarcire qualunque danno causato dal reato o dall’illecito; b) avere chiarito i fatti e le circostanze in modo globale, collaborando attivamente con le Autorità investigative; c) avere adottato provvedimenti concreti di carattere tecnico, organizzativo e relativi al personale idonei a prevenire ulteriori illeciti.

Ma il punto è proprio questo.

Poiché è compito (e responsabilità) dell’amministrazione aggiudicatrice il valutare se le misure adottate dal concorrente siano state realmente sufficienti, occorre che questo avvenga nella massima trasparenza al fine di consentire a chiunque di comprendere perché si continui a contrarre tenuto conto della gravità e delle particolari circostanze del reato o dell’illecito contestato. E se questo è avvenuto perché mai ANAS si sia costituita parte civile contro i medesimi operatori economici e non abbia sottoscritto (come accaduto, invece, con la principale indagata) un accordo transattivo? 

Se i fatti e le circostanze non sono stati chiariti in modo globale e definitivo e non vi è stata quella collaborazione attiva con le Autorità investigative tale da evitare il giudizio penale, si può, ragionevolmente, ritenere che le misure di self cleaning non siano state ritenute sufficienti e, da qui, la necessità che ANAS motivi, con altrettanta trasparenza e pubblicità, il perché della mancata esclusione? Tanto più per il fatto di continuare a rivestire il ruolo di parte civile, ossia di soggetto danneggiato dai reati per i quali chiede si addivenga alla condanna degli imputati (e quindi anche dalle imprese alle quali, nel frattempo, continua ad assegnare appalti) e, conseguentemente, un risarcimento danni.

Ed infine, se nell’informativa al CdA ANAS del 17.09.2018 venne riportato un calcolo dettagliato delle dazioni illecite, come può ragionevolmente credersi che tali dazioni siano dalla stessa ANAS ritenute inconfutabili per giungere ad una transazione con la Dama Nera (che le avrebbe incassate) e non, anche, per escludere dalle gare le singole imprese (che quelle stesse somme le avrebbero promesse o versate)?

(esempio estratto dal documento)

Lo ripetiamo, sono solo meri esempi per lo sviluppo del ragionamento che stiamo portando avanti e se gli obblighi di trasparenza e pubblicità fossero rispettati gran parte degli interrogativi, forse, scomparirebbero; ma purtroppo, da quando nel 2016 è sorto un preciso obbligo normativo, sul sito istituzionale di ANAS Spa (e tanto più nella “Sezione trasparenza”) non è possibile individuare, salvo casi eccezionali, neppure l’aggiudicatario delle centinaia di procedure di appalto avviate e concluse. Miliardi di euro senza alcuna chance di leggere i verbali di gara, le graduatorie finali, i punteggi attribuiti alle offerte tecniche o a quelle economiche, i soccorsi istruttori attivati o, quantomeno, i nominativi dei membri delle relative commissioni di gara.

Una situazione molto opaca che non sembra godere di solide giustificazioni tanto più per il mancato cambio di passo ai vertici della Direzione Appalti e della Direzione Legale di ANAS e per quel che, invece, accade nelle più piccole stazioni appaltanti italiane.

Per approfondire leggi anche ANAS. Suggerimento (non richiesto) a Paolo Veneri, Direttore Appalti della nuova ANAS.

Basta navigare a vista su internet e fermarsi, ad esempio, nel sito di un minuscolo Comune in provincia di Salerno, Oliveto Citra (che ha meno abitanti di quanti siano i dipendenti di ANAS) ed accorgersi che sono disponibili, con un semplice click, tutte le informazioni circa i 728,50€ spesi dall’amministrazione per la “Manutenzione di un’autovettura di servizio”; perfino la targa: YA349AC!

(segui questo link se non ti fidi)

Questa, sì, una trasparenza, pienamente, rispettosa della normativa vigente che rende ancora più incomprensibile (e meritevole di approfondimento da parte degli organi preposti) il fatto che non sia possibile conoscere, con la stessa facilità, quanti appalti stiano eseguendo le imprese rinviate a giudizio nel processo Dama Nera o a quante gare le stesse siano state ammesse, il perché e con quali espresse motivazioni da parte delle relative commissione.

Se la rinnovazione degli organi sociali o la modifica della compagine azionaria è stata ritenuta sufficiente per riacquistare la verginità temporaneamente perduta, perché non far sì che tutti possano leggerlo in un verbale di gara che, invece, viene mantenuto sotto chiave come fosse un segreto militare? Perché non spiegare come possono, ragionevolmente, coesistere nella società pubblica due anime contrapposte (parte civile e stazione appaltante) nei confronti di una stessa impresa?

Se, con la mano destra, si combatte in Tribunale per la condanna della stessa impresa alla quale, con la mano sinistra, si sta firmando il contratto di affidamento di un nuovo appalto, occorre, o no, garantire la massima trasparenza e spiegarne, pubblicamente, le ragioni per evitare che la stampa, giustamente, si interroghi sul perché di strani scorrimenti di graduatorie?

3. Brevi conclusioni.

La stazione appaltante ha facoltà di escludere un concorrente, a prescindere dalla definitività degli accertamenti compiuti in sede penale e pertanto anche a fronte di una richiesta di rinvio a giudizio, non essendo necessario che il procedimento penale avviato a suo carico si sia già concluso con una sentenza di condanna. Mentre, infatti, nel processo penale deve essere raggiunta la prova piena degli elementi del reato contestato, un’amministrazione aggiudicatrice che intenda escludere un operatore economico deve invece solo dimostrare i fatti che ne rendano dubbia l’integrità ed affidabilità. 

Le condotte contestate devono essere quindi, attentamente, valutate nell’ambito di un procedimento amministrativo (gara, autorizzazione alla cessione di un ramo d’azienda, subappalto, etc.) improntato a regole procedimentali e sostanziali che ne scandiscano le modalità di svolgimento,nel massimo rispetto dei principi di legalità e trasparenza.

Qualora le condotte penalmente rilevanti siano riferite a fatti che coinvolgano la stessa stazione appaltante ed abbiano coinvolto dipendenti della stessa, l’ammissione delle società concorrente presuppone un’istruttoria ancora più approfondita e trasparente per addivenire ad un giudizio positivo circa le misure di self cleaning dalla stessa adottata ed il relativo (improbabile) giudizio di affidabilità morale e professionale deve risultare chiaramente dai verbali della Commissione di gara da pubblicarsi, unitamente al relativo provvedimento di aggiudicazione, sul sito istituzionale in ragione dell’obbligo normativo imposto dall’art. 29 del d.lgs. 50/2016.

Nel caso raro in cui la stazione appaltante (come nel caso limite di ANAS sopra accennato) si sia, addirittura, costituita parte civile nel processo penale contro la medesima società concorrente, la possibilità per le quali essa intenda continuare a contrarre con il soggetto di cui chiede la condanna in Tribunale devono essere, ovviamente, ancor più puntuali, convincenti e supportate da appositi pareri legali e delibere consiliari del massimo organo di governo dell’amministrazione aggiudicatrice.

A meno di non arrivare al paradosso, tutto italiano, per il quale continua a dover essere escluso il  concorrente che abbia dimenticato di allegare un bollettino o di apporre una firma e non anche, invece, il suo concorrente imputato di corruzione. O no?

(continua)

AppaltiLeaks® – Riproduzione riservata – 11 febbraio 2020

Share the Post:

Articoli correlati

error: Content is protected !!