Il partito dell’appalto selvaggio all’arrembaggio del codice.

Con la scusa del coronavirus, fuoco di fila a quel poco che resta di legalità negli appalti. Nessuno lo rispetta, pochi controllano e, quindi, è meglio cancellarlo per evitare le inchieste della magistratura. Dopo “mani pulite” inizia l’era di “mani libere” per corruzione e abusi?

Pare sia passato un secolo da quando i vari Di Maio, Di Battista, Taverna, Fico, Lannutti  & Co. gridavano “Onesta! Onesta!”, un millennio da quando i Grillini affollavano le piazze urlando quello che la gente ha sempre pensato degli appalti ed un’era geologica dalle dichiarazioni della politica e delle associazioni di categoria che invocavano la necessità di un nuovo codice fondato su tre pilastri principali: trasparenza della pubblica amministrazione, centralità della progettazione e abolizione delle gare al ‘massimo ribasso’.

Tutti lì in fila, chi a portare sulle spalle la statua di San Cantone, chi a genuflettersi al suo passaggio e chi a spergiurare di non avere mai brigato per ottenere (o far ottenere) un lavoro, una fornitura, un subappalto, o per sponsorizzare l’accoglimento di una riserva o l’approvazione di una variante.

Tutti lì in fila, apparentemente colpiti da un’improvvisa mutazione genetica per dire che facevano sul serio, che era arrivato il momento di dire basta e di voler davvero rendere gli appalti immuni da ogni possibile forma di abuso e corruzione; come se tutto ciò fosse possibile prima ancora che lo divenissero gli italiani.    

Ma si dall’inizio, come abbiamo denunciato in questi anni, si capiva che era tutta una messa in scena per illudere non solo la gente comune ma persino le imprese; o meglio quelle poche che vorrebbero finalmente operare in piena trasparenza e competere secondo qualità, efficienza e professionalità.

L’abolizione del regolamento sui lavori pubblici, la premeditata intenzione di disciplinare solo la fase di gara e non (anche) quella dell’esecuzione, l’uso distorto e l’abuso dell’istituto dell’accordo quadro all’italiana e la quotidiana violazione degli obblighi di pubblicità furono i primi segnali di quanto fosse sbagliata la direzione imboccata e di quanto larghe fossero le maglie della rete in cui avrebbero continuato a sguazzare i pescecani degli appalti.

Poi seguirono i decreti correttivi, gli sblocca-cantieri ed il mercato delle poltrone dei vertici delle società pubbliche ed allora fu chiaro che fosse solo una questione di tempo: prima o poi si sarebbe presentata l’occasione per tentare il colpaccio.     

Nulla di cui stupirsi nel Paese dei tribunali in cui c’è scritto “La Legge è uguale per tutti” piuttosto che “La Giustizia è uguale per tutti”; era scontato che la flessibilità dell’onestà italiana avrebbe, ben presto, fatto il giro per poi tornare, come nel gioco Monopòli, al Via. Ma pare che questo non sia più sufficiente e più di qualcuno vuole eliminare dal gioco, per usare la stessa metafora, sia gli ‘imprevisti’ sia la stessa possibilità di finire in “prigione” per qualche turno.

Il momento tanto atteso è, finalmente, arrivato: l’emergenza coronavirus!

Da una settimana a questa parte, fioccano, su tutti i giornali, interviste ad illuminati esponenti della politica, delle istituzioni e dell’associazioni di categoria che, consapevoli della poca memoria del popolo italiano, ci spiegano che per risollevarci dalla crisi post epidemica da coronavirus esiste una ed una sola ricetta: abolire il codice degli appalti.

Inutile rileggere più volte gli articoli di stampa; di domande scomode da parte degli intervistatori neppure l’ombra.

Con un po’ di immaginazione, è possibile quasi vederli i giornalisti, in ossequioso silenzio, mentre lo statista o il capitano di industria indica la miracolosa via da seguire per uscire dalla crisi: basta regole, che si appalti senza nessun tipo di procedura e sanzione.

Anzi, visto che ci siamo, nominiamo dei super commissari “stile Genova” che non debbano dar conto a niente e a nessuno; tranne, ovviamente, al politico di riferimento che lo avrà fatto accomodare sulla quella dorata e potente poltrona con conseguente aggiramento dei tempi previsti per le cariche in scadenza.

In realtà, nonostante la svogliata lettura di questo periodo di quarantena, tutte queste interviste rischiano di ridursi ad una serie imbarazzante di pericolosissime castronerie e luoghi comuni ripetuti senza sapere di cosa si parli o, peggio, sapendo bene quali possano essere gli effetti devastanti di una deregulation nel settore degli appalti. Un pericolo già messo in luce dal noto giornalista Giorgio Meletti, quando circa un anno fa smontò impietosamente la poco originale tesi di Carlo Calenda (“Rivedere il codice degli appalti per velocizzare le procedure di gara“) ricordandogli che la stessa proposta fu, nel secolo scorso, già avanzata nientepopodimeno che da Franco Nicolazzi (ministro dei Lavori pubblici poi condannato per concussione), da Gianni Prandini (guest star dell’ inchiesta Mani pulite) e da altri loro più recenti emuli poi incappati nelle maglie della giustizia.

Via l’ANAC, via il codice degli appalti, via le sanzioni penali per la Pa”, queste le idee di Bernabè, Cassese e Montezemolo raccontate dal quotidiano Il Foglio nei giorni scorsi, “eliminare i procedimenti superflui e insieme a questi anche gli organi che non fanno altro che bloccare, come l’ANAC“, “per cominciare: via l’ANAC e il codice degli appalti. Ma non tra sei mesi. Bisogna cominciare subito” e ancora “la Pubblica amministrazione ha paura di prendere decisioni, per via della selva di regole, procedure e sensazioni penali previste dal nostro ordinamento”.

Ma non basta, sempre sulle colonne de Il Foglio, la storia si ripete e questa volta la lezione è impartita da Carlo Bonomi, notissimo imprenditore del settore biomedicale e da anni presidente di Assolombarda, che partendo da virus, tamponi e mascherine viene incalzato dall’intervistatore fino a svelare “come evitare che l’Italia guarisca morendo”: far leva sul metodo delle tre D (poco originali dopo le tre ‘I’ di Berlusconi e le tre ‘L’ di Renzi) e “utilizzare, per costruire la  nuova Italia, lo stesso modello adottato per ricostruire, a Genova, il ponte Morandi. Ovverosia: muoversi con assoluta e totale libertà potendo derogare, a partire dal codice degli appalti, tutte le norme dell’ordinamento italiano, a esclusione di quelle penali. C’è bisogno di una serie di deroghe mirate su ciò che ha mostrato di non funzionare come, per esempio, il codice degli appalti”.

E poi, su Edilizia & Territorio, l’ad di Fs: “Ma anche altre novità di cui ci siamo fatti portatori auspichiamo che possano essere accolte dal governo come quelle ad esempio della task force per le gare e di una deroga al codice appalti che consentirà di verificare i requisiti dei partecipanti alla gara solo ex post, quindi solo sull’aggiudicatario” (e, visto che ci siamo, si allunghi pure il mandato degli AD oggi in carica in FS e ANAS trasformandoli in super commissari).

Potremmo continuare a citare numerosi altri articoli e interviste di autorevoli personaggi italiani ma rischieremmo di annoiarvi perché sono tutte sulla stessa, identica lunghezza d’onda.

Qualunque sia il punto di partenza, si vira sempre sullo stesso argomento.

Il coronavirus è pericoloso? Più pericoloso ancora il codice degli appalti.

L’Europa non ci aiuta? Se non eliminiamo il codice degli appalti non lo farà mai.

Il sito INPS è in down? Colpa del codice degli appalti.

È aumentato il prezzo della farina? Maledetto codice degli appalti, non avremo più pane.

Le autocertificazioni? Sono utili e necessarie tranne che negli appalti.

E così via.

In verità, la situazione dovrebbe essere affrontata da un’altra prospettiva per porre le giuste domande e valutare la credibilità delle relative risposte.

Sarebbe bastato, ad esempio, ricordare l’ennesimo scandalo Consip per la fornitura di mascherine (un gara aggiudicata ad un pregiudicato tutt’ora sotto inchiesta per associazione a delinquere e truffa aggravata ai danni dello Stato), le interrogazioni denuncia parlamentari rimaste prive di risposta sulla gestione ANAS del manager dimissionato Gianni Vittorio Armani, gli appalti ‘pilotati’ per lavori all’acquedotto in Maremma o gli arresti per i lavori post-terremoto a L’Aquila per, poi, chiedere: se tutto questo è successo con il codice degli appalti, cosa accadrebbe se lo eliminassimo del tutto?

Se demolissimo l’Autorità Anticorruzione (che, già così, non è che terrorizzi poi tanto i funzionari pubblici) quale freno vi sarebbe per gli accordi illeciti che sottendono, quasi, ogni perizia di variante, accordo bonario, aggiudicazione di accordo quadro e procedura negoziata?

Se la Corte dei conti ha appena condannato numerosi dirigenti ANAS ad un maxi risarcimento (vedi articolo ANAS. Corte dei conti condanna record per molti dirigenti in servizio. Cosa farà Simonini?) non aumenterà il rischio, attuando le deroghe che tanto auspicate, di ulteriori danni all’erario per clausole e trucchetti inseriti all’ultimo momento a tutto favore dell’impresa? 

Ecco, in questo caso forse le interviste avrebbero preso una piega diversa e la sicumera della ricetta salva crisi avrebbe lasciato spazio ad un balbettio incapace di spiegazioni.     

AppaltiLeaks ha, sempre, affermato che il codice vigente fosse il peggior della storia  degli appalti e non saremo, proprio noi, oggi a difenderlo: era e resta una normativa scritta male ed applicata peggio con l’unico scopo di lasciare mani libere a chi vuole fare impicci con gli appalti.

Ma non per questo può essere preferita al Far West che ci indicano gli ‘illuminati”.

Il vero problema è che in Italia vi sono sì, forse, molte regole ma soprattutto pochissimi controllori, le commissioni di gara impiegano tempi biblici per concludere le proprie operazioni perché, troppo spesso, devono trovare modo e maniera per aggiudicare l’appalto all’impresa prestabilita ed i cantieri vanno a rilento perché le imprese devono scontrarsi con progetti carenti e lacunosi o , peggio, fronteggiare il taglieggiamento di direttori dei lavori e RUP (come l’inchiesta sull’ANAS di Catania ha disvelato).  

A parte le indagini degli organi di polizia giudiziaria (troppo spesso interrotte per non collassare sotto il peso della loro vastità, come nel caso della DAMA Nera dell’ANAS) non funziona praticamente nulla.

Piani anticorruzione, audit interni, protocolli di legalità, codici etici, regolamenti interni e manuali di qualità hanno dimostrato – da ormai lungo tempo – la loro completa inutilità per garantire il rispetto della normativa vigente e sono serviti (nella stragrande maggioranza dei casi) a creare poltrone, affidare lauti incarichi esterni ed a costruire un archivio di dossieraggio interno da usare al momento opportuno nelle quotidiane lotte di potere all’interno della stazione appaltante.

Nel migliore dei casi a costituire un paracadute per la responsabilità di organi di amministrazione e di controllo inadeguati o silenziosamente tolleranti il sistema ereditato.

Responsabili del procedimento, direttori dei lavori, direttori operativi, ispettori di cantiere e collaudatori che (schermandosi dietro il solito alibi di avere “troppi lavori in corso”) non assicurano neppure la propria presenza fisica in cantiere, contabilità redatte dalle stesse imprese e poi “discusse” al momento della maturazione degli stati di avanzamento, contenziosi lasciati lì ad autoalimentarsi per tutta la durata dell’appalto nel tentativo di poter far perdere memoria delle pre-innescate carenze progettuali, perizie di variante opportunamente suggerite dall’esecutore per recuperare gli insostenibili ribassi di aggiudicazione e collaudi mai definitivamente conclusi.

Questi sono i veri problemi che dovrebbero essere affrontati.

Non vi sono vittime ma solo un sistema marcio fino agli strati più profondi che solo l’ipocrisia o la malafede, di chi lo osserva in modo strumentale, impedisce di rendersene conto.

Grazie alla proliferazione dei sistemi di controllo ed alla scomparsa di veri controllori – sulle fondamenta di una sempre più opaca discrezionalità della fase di assegnazione dell’appalto – si è progressivamente rafforzata la possibilità che la realizzazione del progetto rappresenti una quotidiana occasione di illecito profitto per i soggetti preposti alla conduzione dell’appalto.

Tutte le fasi relative alla gestione dell’appalto rappresentano, infatti, altrettanti capitoli dove la decisione tecnico-amministrativa può essere utilmente addomesticata e piegata.

Il messaggio che sembra rafforzarsi di giorno in giorno deve essere quanto prima bloccato sul nascere perché è l’esatto contrario del rispetto delle regole che tanto ci occorrerà in futuro: cancellare abusi e violazione delle regole con la scusa di far ripartire l’economia, avvalorando un legame che non ha per giunta alcun senso, significherà condannare l’Italia alla definitiva messicanizzazione vaticinata dal saggio Alberto Forchielli.

D’altronde, come ha chiarito in questi giorni la Comunicazione_Commissione_Ue esistono, già, tutti gli strumenti e le procedure per operare nelle situazioni di piena emergenza, anche quella del coronavirus. 

Quello di cui ha bisogno il mondo degli appalti è, soltanto, una cosa: la massima trasparenza. 

Come attuarla? Creando finalmente, ad esempio, un unico sito dove poter sapere con un semplice click quanti appalti ha vinto il solito consorzio stabile, visionare la contabilità di cantiere di ogni singolo appalto, leggere tutti i verbali delle commissioni di gara o di collaudo, conoscere qualsiasi subappalto e subfornitura, etc. etc.

Tutto on line, tutto a portata di tutti. E vedrete che non si perderà più tempo per far vincere una gara all’amico di turno.

Come volevano tutti, anche i Grillini.

Ah già! Era tanto, tanto tempo fa …

AppaltiLeaks® – Riproduzione riservata – 4 aprile 2020

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