Autostrada Roma-Latina. Il TAR Lazio rigetta il ricorso di Impregilo & Co. Siamo di fronte ad una Pedemontana bis?

Tempo fa, ci eravamo occupati dell’affidamento in concessione del “Corridoio Intermodale Roma-Latina e Collegamento Cisterna-Valmontone” [vedi articolo Autostrada Roma-Latina. La strana storia di un’offerta, apparentemente, inammissibile. (prima puntata)]

Un intervento che dal 2008 – nonostante milioni di euro spesi per far vegetare una società creata ad hoc – non ha ancora neppure visto la luce a causa di lungaggini amministrative e di una procedura di gara travagliata.

Dopo anni di rinvii e carte bollate, ritenevamo che ormai fosse imminente l’epilogo di questa tragicomica vicenda e che il Giudice adito avrebbe fatto chiarezza.

In verità, chi segue la vicenda confidava che il ricorso dal raggruppamento Impregilo, Astaldi, Pizzarotti e Ghella (secondo classificato e, fino a pochi istanti prima della conclusione della gara, sicuro vincitore dell’appalto per il maggior punteggio dallo stesso conseguito per l’elaborata offerta tecnica proposta) sarebbe stato accolto senza grandi problemi.

Ed invece no.

La querelle è destinata a prolungarsi, salvo clamorosi dietro front del ricorrente, perché il TAR Lazio con la Sentenza n.4001 dello scorso 29 marzo 2017 ha respinto tutti gli articolati e condivisibili profili d’illegittimità portati alla sua attenzione: primo fra tutti quello dell’inammissibilità dell’offerta presentata dall’aggiudicatario, il Consorzio SIS.

Prima di analizzare nel dettaglio alcuni passi della sentenza, ricordiamo la ricostruzione fatta da Sergio Rizzo nella propria inchiesta sulle colonne del Corriere della Sera che disvela l’escamotage utilizzato, da SIS, per ribaltare totalmente la graduatoria “In pratica” – racconta Rizzo – “Dogliani e Sacyr si propongono di restituire tutti i 902 milioni di finanziamento pubblico stanziato dallo Stato in 30 anni con un interesse del 5%. Una proposta non praticabile secondo gli avversari che hanno fatto ricorso e che parlano di flussi di traffico sovrastimati.”

E’ successo, infatti, che tutta la partita si è giocata su un aspetto che nulla ha a che vedere con l’ingegneria, con la capacità organizzativa e finanziaria imprenditoriale e men che meno sulla sostenibilità ed attendibilità del piano economico-finanziario presentato dai concorrenti. A dispetto dell’importanza delle opere da realizzare e degli stratosferici interessi in gioco, è bastato un semplice “trucchetto” per raggiungere l’obiettivo.

Quando si aprono le buste dell’offerta tecnica” prosegue Rizzo nel suo articolo “sono in vantaggio i quattro italiani (ndr Impregilo, Astaldi, Pizzarotti e Ghella). Ma alla verifica dell’offerta economica ecco il sorpasso. La cordata Impregilo propone uno sconto di 303 milioni del contributo pubblico: da 902 a 605 per l’intera tratta e da 468 a 367 per la sola Roma-Latina. Il suo avversario (ndr la SIS Scpa) però spiazza chiunque. Non chiede infatti un solo euro. Non a fondo perduto, almeno. Nel senso che quei 902 milioni li vuole tutti quanti e subito, ma si impegna a restituirli con un interesse del 5%. Dopo trent’anni dall’avvio della concessione e senza garanzie finanziarie.

Accade quindi che l’idea di giocarsi il tutto per tutto sulla restituzione integrale dell’intero contributo statale (trasformandolo in un prestito dalla dubbia natura ed incerto rimborso), si è rivelata una “furbata” vincente che ha evidentemente suggestionato non solo la commissione di gara ma anche il Tribunale Amministrativo del Lazio che sembra, peraltro, aver mutato il proprio orientamento in materia di “offerta condizionata”.

Ma andiamo avanti.

La (in)ammissibilità dell’offerta condizionata.

La percentuale di contributo del quale i concorrenti intendevano usufruire era uno degli elementi di valutazione dell’offerta economica, secondo quanto specificato al punto “F. Elementi di valutazione” della Lettera di invito che stabiliva che il punteggio relativo al contributo a fondo perduto sarebbe stato attribuito dalla commissione di gara con interpolazione lineare tra il valore attualizzato del contributo pubblico offerto più basso (coefficiente 1) e il valore più alto del contributo attualizzato (coefficiente 0).

La ricorrente ha sostenuto l’inammissibilità dell’offerta dell’aggiudicataria, in quanto basata sull’erogazione e restituzione integrale del contributo a fondo perduto posto a base di gara.

La prospettazione non è stata tuttavia condivisa dai Giudici capitolini perché, a loro dire, “dalla lettura di tale previsione appare chiaro come fosse rimessa ai singoli concorrenti la scelta sulla modalità di fruizione del beneficio, non risultando esclusa, ed essendo, anzi, espressamente prevista, la possibilità di una restituzione totale o parziale dello stesso.

In verità, considerato che la Lettera di invito incriminata non risulta pubblicata sul profilo del committente non è al momento dimostrato che la stessa prevedesse tale “espressa possibilità di restituzione” come invece ha intravisto il Tar Lazio; quello che invece è certo è che il bando di gara non lo consentiva affatto e che non vi fosse alcuna motivazione logica che potesse giustificarlo.

Ma ciò che appare meno comprensibile è l’aver voluto ribaltare la prospettiva temporale del piano finanziario a base di gara, invertire il prima con il dopo, equiparare il concetto di “rinuncia al contributo” a quello di “restituzione del contributo” e, soprattutto, il reinterpretare lo schema contrattuale proposto dalla stazione appaltante trasformando un “contributo a fondo perduto” in un “finanziamento a lungo termine”.

Eppure il sistema di attribuzione del relativo punteggio appare, ancora oggi, inequivocabilmente (questo sì) incentrato su un semplice algoritmo matematico che avesse riguardo, unicamente, all’entità del contributo a fondo perduto di cui i concorrenti dichiaravano di voler beneficiare.

Il tutto in un’ottica di doverosa preservazione del principio di par condicio tra i concorrenti.

Ma, invece, è accaduto proprio il contrario e – dopo che la stessa stazione appaltante aveva formulato un quesito all’Anac in ordine all’evidente criticità dell’offerta di Sis, proprio con riguardo alla proposta restituzione del contributo – è stata, poi, di fatto legittimata l’equiparazione del “contributo a fondo perduto” a quello di  “finanziamento”: mentre tutti gli altri concorrenti hanno elaborato i propri piani finanziari sulla base di una quota parte del contributo messo a disposizione, al Consorzio italo spagnolo SIS (l’aggiudicatario) è stato “stranamente” consentito di mutarne surrettiziamente la natura e di trasformarlo in “un mero prestito”…

L’aggiudicatario ha quindi “dopato” la propria offerta ma la gara, al di là delle regole base di qualsiasi confronto competitivo, è comunque regolare tanto per la stazione appaltante quanto per il primo grado della giustizia amministrativa.

Di tutta evidenza l’alterazione delle condizioni di partecipazione concorrenziale che avrebbero dovuto, necessariamente, relegare la proposta dell’aggiudicatario al difuori dal perimetro di ammissibilità delle offerte!

Anche se non proprio nel senso delineato dai difensori della ricorrente.

A leggere la sentenza, sembra infatti che gli stessi abbiano posto l’accento sul solo fatto che l’offerta della controinteressata fosse sottoposta alla condizione dell’evento, futuro ed incerto, della restituzione del contributo e che, conseguentemente, avrebbe dovuto essere esclusa in quanto condizionata (o, quanto meno, indeterminata, sotto il profilo dell’assenza di garanzie della restituzione medesima), quando invece la nozione di “offerta condizionata” (nel diritto amministrativo) non coincide con la figura civilistica della “condizione” intesa come evento futuro ed incerto da cui far dipendere l’efficacia del negozio.

E se non stupisce che l’inammissibilità dell’offerta non sia stata neppure immaginata dal seggio di gara, meraviglia molto di più che tale evidente alterazione della procedura concorsuale sia stata avallata dal TAR Lazio che, nel giustificare il proprio rigetto, richiama alcuni precedenti arresti giurisprudenziali capaci di confutare la stessa motivazione della sentenza!

In essa viene infatti testualmente riportato quanto segue “Secondo consolidato orientamento giurisprudenziale, la nozione di ‘offerta condizionata’ ricorre nel caso in cui l’offerente subordini il proprio impegno contrattuale ad uno schema modificativo rispetto a quello proposto dalla stazione appaltante; in tal caso l’offerta va dichiarata inammissibile, atteso che le regole che informano la materia degli appalti pubblici esigono, a tutela della par condicio e della certezza dei rapporti giuridici (funzionali all’imparzialità nella scelta del contraente e al buon andamento in ordine alla serietà dell’offerta e alla corretta esecuzione dell’appalto), la perfetta conformità tra il regolamento contrattuale predisposto dalla stazione appaltante e l’offerta presentata dal candidato” (cfr., ex multis, Tar Piemonte, sez. II, 12/12/2016, n. 1514, T.A.R. Lazio-Roma, sez. II, 05 maggio 2016 n. 5268, T.A.R. Lazio, 04 luglio 2011 n.5827).

E allora? Non è proprio quello che è accaduto? A noi pare proprio di si.

Chissà se i difensori dei ricorrenti avranno intenzione di ricorrere in Consiglio di Stato avverso questa decisione, ma certo è che questa evidente contraddizione motivazionale – per la quale dal richiamo di un principio consolidato si giunge alla dichiarazione di legittimità di un provvedimento diametralmente contrastante con tale principio – sembra averne tracciato la sicura strada di impugnativa da percorrere.

Fin qui volendo soffermarci sugli aspetti strettamente giuridici.

Nella sentenza in rassegna, c’è poi un passaggio che lascia alquanto interdetti e che poco (o nulla) sembra avere a che vedere con il diritto: ed è il punto in cui viene di fatto condivisa la difesa delle parti resistenti “Come rilevato dalla difesa di AdL e da quella del Consorzio interessato, peraltro, la plausibilità logica dell’opzione interpretativa operata dalla stazione appaltante appare in linea con quanto avvenuto in appalti aventi analogo oggetto, a cui avevano partecipato anche società appartenenti al raggruppamento oggi ricorrente – peraltro aggiudicandoseli proprio in forza di offerte che prevedevano la restituzione del contributo – e con quanto affermato da altre stazioni appaltanti di lavori autostradali per i quali era prevista eguale clausola di finanziamento a fondo perduto.”

Come a dire: c’è sempre uno più furbo di te e, questa volta, siete stati gabbati con lo stesso escamotage (ammissibile o meno che sia) utilizzato in una precedente gara da alcuni degli operatori economici facenti parte dell’ATI ricorrente…

Una sorta di legge del taglione applicata al diritto amministrativo e poco importa che si tratti di un affidamento di circa TRE MILIARDI di euro che, probabilmente, meriterebbe un approccio più giuridico e meno sorretto da “opzioni interpretative” tutt’altro che plausibili.

La finanza creativa nel mondo degli appalti italiani

La vicenda laziale che ci occupa non può essere analizzata approfonditamente senza correlarla a quanto sta accadendo a centinaia di chilometri di distanza: in Veneto.

Da più di un anno infatti, non passa giorno che giornali, televisioni e social media si occupino dell’affaire Pedemontana Veneta, un project financing all’italiana (anche quello soffiato sotto il naso ad Impregilo dalla SIS Scpa) la cui insostenibilità del relativo piano finanziario è ormai da tempo conclamata e per la quale, come scrive la Corte dei Conti in una corposa relazione del 2015, “ad oltre sei anni dalla stipula della convenzione non é ancora disponibile gran parte del capitale privato per la realizzazione dell’opera. Al punto che gli oneri, finora, sono gravati quasi esclusivamente sulle spalle della finanza pubblica. Ciò, in contraddizione con le finalità del partenariato pubblico-privato, attuato con il ricorso al cosiddetto project financing. Cosicché, a fronte di un impegno finanziario della cordata di imprese aggiudicatarie pari a 200 milioni di euro (di cui però solo 50 realmente versati), i lavori sono già costati alle casse pubbliche 615 milioni. Ben oltre, dunque, i 243 milioni ipotizzati nel 2003, dove  previsioni di traffico  e delle opere compensative richieste dagli enti locali”.

A leggere gli atti concessori di quest’appalto (definito la più grande opera pubblica italiana oggi in esecuzione) non è stato ancora possibile comprendere il perché non si sia provveduto alla risoluzione del contratto per inadempimento dell’affidatario.

Fiumi di parole, interviste ed inchieste giornalistiche non sono riusciti, fino ad oggi, ad ottenere – né dalla Regione Veneto, né dal Ministero delle Infrastrutture né dal Commissario Straordinario né, ancora, da qualsiasi altro soggetto istituzionalmente coinvolto – una risposta ad una semplice domanda: se il piano finanziario “asseverato” presentato dalla SIS Scpa per aggiudicarsi quell’appalto si è dimostrato basato su flussi di traffico sovrastimati ed errati e se, comunque, il promotore si è rivelato incapace di realizzare le opere secondo il progetto economico-finanziario dallo lui stesso elaborato perché non si escutono le garanzie all’uopo prestate e si riaffida l’appalto ad altro operatore? O, in alternativa, lo si fa realizzare direttamente da un ente statale o regionale?

Ed ancora, chi ha autorizzato o tollerato il fatto che, a valle del project financing, fosse attivato un general contractor, coincidente con la società di progetto, grazie al quale sembra essere stata messa al sicuro (con evidente conflitto di interessi) la redditività dell’esecuzione dei lavori?

Nessuna domanda scomoda, nessuna risposta.

Se non quelle volte a confondere strumentalmente l’istituto della revoca (che cagionerebbe altri danni all’Erario) con quello della risoluzione (che invece sarebbe a costo zero per le pubbliche finanze); il tutto distraendo l’attenzione dei cittadini (a cosa ancora più grave degli organi di controllo amministrativi e giudiziari) con una serie infinita di argomentazioni sulle ricadute economiche per il perdurante stallo dell’esecuzione, sul ritardo nella corresponsione delle indennità agli espropriati e su altre generiche questioni che nulla hanno a che vedere con il rispetto delle obbligazioni contrattualmente assunte dalla società di progetto.

E per non mettere con le spalle al muro un concessionario (sempre il Consorzio italo spagnolo SIS) incapace finanziariamente di realizzare le opere, si è arrivati addirittura ad introdurre un’apposita addizionale regionale IRPEF che accollerà sui cittadini e sulle casse erariali un onere di più di 300 MILIONI di euro (vedi link) che, salvo prova contraria, avrebbe dovuto invece gravare sull’esecutore inadempiente.

Alla faccia del ricorso ai capitali privati e del rischio imprenditoriale che dovrebbero caratterizzare l’istituto della finanza di progetto.

Ad ogni modo, se questi sono i risultati raggiunti dalla SIS sui cantieri della Pedemontana Veneta, un interrogativo nasce spontaneo: come può, ragionevolmente, Autostrade del Lazio essere sicura che l’alchimia finanziaria e gestionale su cui si basa l’offerta per la realizzazione dell’Autostrada Roma Latina non produca, fra qualche anno, i medesimi effetti?

Quanto sono attendibili le ipotesi di traffico capaci di remunerare il rimborso del prestito da parte dell’esecutore e quali ancora le garanzie offerte dal soggetto aggiudicatario in caso di inadempimento?

Quando i cantieri saranno avviati, i terreni da espropriare occupati e la commessa dovesse andare in crisi (così come successo in Veneto) lo Stato, la Regione, Autostrade per il Lazio e la sua controllante ANAS andranno nuovamente in soccorso dells SIS perché le opere non potranno essere fermate? 

Possiamo ragionevolmente escludere che, in futuro, non sarà necessario introdurre un’apposita addizionale regionale IRPEF anche per i cittadini laziali?

Possono essere ritenute soddisfacenti le affermazioni del TAR Lazio secondo cui “l’(eventuale) inaffidabilità dell’operatore economico produrrebbe la distrazione delle somme anticipate dal concedente dalla loro finalità istituzionale di finanziamento dell’opera pubblica, non meno dannosa, per le pubbliche casse, di una incerta restituzione dell’importo” o sarebbe più rassicurante agire in via di autotutela decisoria ed affidare questo importante intervento ai colossi imprenditoriali SALINI IMPREGILO, ASTALDI, PIZZAROTTI e GHELLA che operano da decenni nel settore delle costruzioni a livello mondiale e sono al vertice della classifica delle imprese italiane con miliardi di euro di fatturato?

Per il momento, ci fermiamo qui ma continueremo ad osservare e valutare gli sviluppi della vicenda.

AppaltiLeaks è, ovviamente, a disposizione di chi volesse fornire un qualsiasi contributo informativo.

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