Indeterminatezza dell’accordo quadro. Il ricorrente ha ragione ma doveva ricorrere prima della gara (o forse no).

AppaltiLeaks torna ad occuparsi della “nuova moda” degli appalti all’italiana, quella dell’accordo quadro.

Ci eravamo lasciati prima dell’estate con il duro “botta e risposta” tra il Ministero delle infrastrutture e l’ANAS Spa originato dalla durissima lettera (clicca qui per scaricarla), con la quale il primo aveva demolito, parola dopo parola, frase dopo frase, il fragile castello di carta eretto, senza alcun fondamento giuridico, per utilizzare illegittimamente l’istituto dell’accordo quadro ed affidare, in barba alle norme sulla determinatezza dell’appalto centinaia di milioni di euro (per approfondire leggi gli articoli precedenti seguendo il link_1 ed il link_2).

Lo scottante dossier è, ormai da circa due mesi, sul tavolo del Presidente dell’Autorità Nazionale Anticorruzione che, salvo clamorose sorprese, dovrebbe mettere un po’ di ordine ed ammettere che, sì, il Ministero delle Infrastrutture ha pienamente ragione e che (fosse solo per le funzioni politico-strategiche proprie del dicastero di Porta Pia) è arrivata l’ora di porre la parola fine a questo modus operandi. Un sistema che, al di là delle tesi giuridiche contrapposte, ha di fatto costantemente eluso la fase della progettazione esecutiva (sull’importanza ed imprescindibilità della quale tutti, nel corso dei convegni o delle interviste, hanno sempre ammesso di concordare), ha trasformato le procedure di verifica delle offerte anomale in una ghiotta occasione per “scegliere” l’aggiudicatario dell’appalto ed ha rafforzato l’ambito della discrezionalità tecnica (tipico della fase di valutazione delle offerte tecniche) fino a rischiare di farlo esondare nel campo del vero e proprio arbitrio decisorio.

Insomma, miliardi di euro che (nonostante le inchieste giudiziarie che hanno coinvolto persino la Consip) continuano nell’indifferenza (o nella tolleranza) generale ad essere appaltati senza che si possa sapere, nel momento in cui viene bandita la gara, l’esatta tipologia, quantità, entità e collocazione spazio-temporale dei lavori oggetto dei contratti applicativi attivabili nel corso del periodo di durata dell’accordo quadro.

Ebbene a margine di tale situazione c’ è stata segnalata una recentissima sentenza del TAR Puglia (la 932_2017) – decisa in data 16 maggio 2017 ma pubblicata, dopo oltre tre mesi, lo scorso 22 agosto – che, pur avendo in sede cautelare disposto «un remand alla Commissione di gara ai fini di una riconsiderazione delle determinazioni assunte all’esito del sub-procedimento di verifica della congruità dell’offerta della ricorrente» ha poi deciso per il mancato accoglimento del ricorso dell’impresa.

Un revirement improvviso ed inspiegabile tanto più se rapportato al fatto che, sempre in sede cautelare, lo stesso Consiglio di Stato aveva sottolineato che per le questioni controverse, nella motivazione della sospensione dell’aggiudicazione, «il giudice di primo grado ha formulato una prognosi “forte” sull’esito del ricorso».

La fattispecie è molto complessa e, con tutta probabilità, verrà portata nuovamente all’attenzione del Consiglio di Stato anche perché sembra che il TAR adito abbia voluto intravedere nell’ordinamento giuridico, senza tuttavia indicare i relativi riferimenti normativi, una distinzione tra la verifica dell’offerte anomale formulate per l’affidamento non meglio specificati “lavori classici” e quella attivata nell’ambito di procedura per la conclusione di un accordo quadro . Leggiamo il passo: «Va premesso che le censure articolate avverso le nuove valutazioni muovono tutte da un errato presupposto: che nel caso di un accordo quadro basato su un’offerta ad un unico ribasso sia giuridicamente e tecnicamente corretto valutare la congruità dell’offerta con i criteri utilizzati per l’appalto di lavori “classico”. In realtà –e questo vale per tutte le censure di cui si tratta- solo per l’appalto di lavori classico è possibile operare delle “compensazioni” sul risultato ottenuto moltiplicando il prezzo per la quantità dei singoli materiali, in ragione della presenza a monte sia del progetto, sia del relativo computo metrico che permette di definire ab origine le quantità di ogni singolo materiale e della manodopera necessaria (sic!). Diversamente, nell’ipotesi dell’accordo-quadro, non v’è alcuna certezza ex ante in ordine alla quantità di prodotti e lavori che nel tempo dovranno essere acquisiti; motivo per cui i coefficienti usati dall’ANAS, esposti nel disciplinare, intendevano verosimilmente dare rilievo alla probabilità che le voci caratterizzate da un più alto coefficiente fossero le voci che quantitativamente sarebbero state maggiormente utilizzate nei progetti esecutivi che dovranno precedere i singoli affidamenti.» (ari-sic!).

Ma al di là di quelle che ci appaiono motivazioni metagiuridiche, il punto che ci interessa maggiormente, per il discorso che stiamo svolgendo, lo troviamo nella parte finale della sentenza ove si afferma che «in ogni caso, in ipotesi di indeterminatezza dell’oggetto, l’impugnazione avverso gli atti di indizioni della gara risulterebbe proposta intempestivamente». 

E questo perché «Nelle gare pubbliche, infatti, è necessario procedere all’impugnativa immediata degli atti di indizione quando si lamenta che le clausole impediscano, indistintamente a tutti i concorrenti, una corretta e consapevole elaborazione della propria proposta economica; e l’evenienza ricorre anche ogniqualvolta si sia in presenza di gravi carenze nell’indicazione di dati essenziali per la formulazione dell’offerta».

In pratica, i magistrati pugliesi sono dell’opinione che non debba essere la stazione appaltante ad evitare che si possa avviare ed aggiudicare una gara nonostante la “indeterminatezza dell’oggetto” o procurare una “violazione dei cardini procedimentali della concorrenza e della par condicio tra i concorrenti“. Né tanto meno che l’ANAC, che vigila su tali comportamenti, debba prontamente intervenire per indurre la medesima stazione appaltante ad agire in via di autotutela decisoria e, quindi, a rimuovere tali illegittimità.

Secondo il TAR Puglia, è il singolo concorrente – che si accorga di tali circostanze – che deve, invece, farsi esclusivo carico degli enormi costi economici per avviare, a beneficio di tutti gli altri potenziali concorrenti, un contenzioso giudiziario per l’annullamento del bando di gara; il tutto cercando individualmente tutela per quegli interessi generali che evidentemente non interessano alle associazioni di categoria, inimicandosi la stazione appaltante (che con tutta probabilità non sarà, in futuro, particolarmente benevola nei suoi confronti al momento della valutazione dell’offerta tecnica) e senza alcuna garanzia per l’ottenimento della commessa.

Decine di migliaia di euro da “investire a fondo perduto” per pagare avvocati, consulenti e spese di giudizio senza alcun diretto ritorno, se non quello di sperare che un giudice amministrativo induca la stazione a rispettare il codice degli appalti e di finire, nel migliore dei casi, sul “libro nero” di quest’ultima (spesso,  a quanto ci riferiscono, esplicitamente minacciato).

In verità, il Consiglio di Stato si è occupato dell’ambito d’immediata impugnabilità di un bando di gara affermando che lo stesso non è circoscritto alle sole sue clausole stricto sensu escludenti, ma ricomprende anche altre evenienze particolari, tra le quali quella che la lex specialis del caso concreto non sia tale da consentire la formulazione di una seria e ponderata offerta. Secondo l’impostazione corrente in giurisprudenza, infatti, nelle gare pubbliche è necessario procedere alla pronta impugnazione dei relativi atti d’indizione quando si lamenti che le loro clausole impediscano, indistintamente per tutti i concorrenti, una corretta e consapevole elaborazione delle proposte individuali, pregiudicando così il corretto esplicarsi della gara.

Ma qui la situazione è totalmente diversa.

Sembra infatti che l’impresa ricorrente abbia eccepito, solo in via subordinata, la nullità della procedura di gara per violazioni di chiare norme imperative (quale ad esempio il divieto per le stazioni appaltanti di “ricorrere agli accordi quadro in modo abusivo o in modo da ostacolare, limitare o distorcere la concorrenza”) oltre che per quella serie infinita di illegittimità denunciate dallo stesso Ministero delle Infrastrutture di cui parlavamo in apertura del presente articolo. 

Come ha potuto verificare AppaltiLeaks, la ricorrente ha, sì, richiamato l’attenzione del TAR Puglia sul fatto che “la documentazione posta a base di gara si sostanzia esclusivamente, in una semplice planimetria dei tratti di strada dove verranno eseguiti gli interventi di manutenzione. Anzi dove potrebbero essere eseguiti, in futuro, i lavori stante il fatto che il bando garantisce all’affidatario solo una percentuale minima dell’importo massimo oggetto dell’accordo quadro. In pratica risulta assente ogni forma di ingegnerizzazione dei lavori da eseguire, non vi è alcun “progetto esecutivo” e non vi è traccia dei documenti previsti dagli articoli da 33 a 42 del Dpr 207/2010; il tutto con evidente sconfinamento nella più totale indeterminatezza dell’oggetto dell’appalto stesso e con conseguente costrizione delle imprese concorrenti ad un confronto competitivo basato sul solo elenco prezzi”.

Ma è pur vero che l’impresa, confidando in una lettura a 360° della vicenda, aveva lamentato, in via principale, una procedura di verifica delle offerte anomale (all’esito della quale era stata esclusa per la dichiarata incongruità della propria offerta) apparentemente fuori da tutte le regole ed i principi declinati dal Codice degli appalti ed utilizzata (sempre in base a quanto è riportato negli atti di causa) per “costringere” la ricorrente  – allorquando a dover fornire le proprie giustificazioni – a “giocare al buio”, a dimostrare la piena sostenibilità di lavorazioni mai progettate e per vedersi eccepite strumentali contestazioni ed immotivati rilievi per lavori esistenti, forse, solo nella mente del RUP.

Prova ne è che non è stato neppure quantificato (in quanto matematicamente impossibile stante l’indeterminatezza, appunto, dell’oggetto dell’appalto) l’ammontare degli ipotetici maggiori costi non tenuti in considerazione nella formulazione dell’offerta e, conseguentemente, è rimasta indimostrata l’erosione della redditività dichiarata e quindi la potenziale futura entrata in crisi del cantiere durante la fase esecutiva.

Ebbene nonostante l’apparente esistenza di queste (ed altre) macroscopiche illegittimità denunciate dalla ricorrente, il TAR Puglia non solo ha ritenuto, comunque, preclusa un’autonoma valutazione della congruità delle singole voci, sostitutiva dell’attività valutativa spettante all’Amministrazione procedente, ma ha negato anche la possibilità di ricorrere ad una consulenza tecnica di ufficio che non sarebbe in alcun modo risultata contrastante con i limiti del sindacato del giudice amministrativo, in quanto attinente alla verifica giudiziale di legittimità dell’operato della P.A. disciplinato o vincolato da norme.

D’altronde, la circostanza che la Legge consenta al giudice amministrativo di poter accedere alla diretta e migliore conoscenza dei fatti attraverso la designazione di un consulente tecnico d’ufficio rendeva evidente, infatti, che il potere, l’estensione e la forza di penetrazione della sua cognizione non poteva (e non doveva) arrestarsi davanti alla “discrezionalità tecnica” della Commissione, che come è noto in caso di macroscopiche illegittimità deve ritenersi, a contraris, pienamente soggetta al suo potere decisionale di ordine giurisdizionale.

Ma, evidentemente, le lagnanze e le richieste della ricorrente (ancora più fondate grazie al supporto dello stesso Ministero delle Infrastrutture) non si sono dimostrate sufficienti: siamo in Italia e tutto è possibile…

Per il momento, ci fermiamo qui ma continueremo a seguire gli sviluppi della vicenda e, soprattutto, ad attendere la pronuncia dell’ANAC.

24 agosto 2017 – Riproduzione riservata®.

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