Contraenti generali. E’ finita l’era dello struzzo.

Risveglio pericoloso per tutte le maggiori stazioni appaltanti, per i Rup e per i cosiddetti “uffici di alta vigilanza”!

E’ ora di tirare fuori la testa da sotto la sabbia.

Non è più possibile far finta di niente.

A novembre del 2016 – dopo che due inchieste giudiziarie sull’asse Roma-Genova avevano portato all’esecuzione di numerosi arresti in tutt’Italia per i lavori riguardanti, tra l’altro, la realizzazione del VI° Macrolotto dell’Autostrada Salerno-Reggio Calabria – avevamo affermato che “il giochino si era rotto” e che ormai si prefiguravano tempi duri per tutte quelle stazioni appaltanti e quei RUP (praticamente tutti) che facevano (e continuano) a far finta di non vedere (vedi articolo precedente).

L’istituto dell’affidamento a contraente generale è stato, per troppi anni, capziosamente interpretato come la ghiotta occasione per immaginare una deresponsabilizzazione della stazione appaltante e per diluire doveri ed obblighi degli incaricati di funzioni pubbliche.

La Procura della Repubblica di Roma, invece, aveva improvvisamente risvegliato, dal dolce e dorato sonno in cui si erano abbandonati, tutti coloro che a vario titolo erano (e sono tuttora) coinvolti nell’esecuzione di una delle opere affidate ad un contraente generale.

Telefonate ai colleghi, approfondimenti su internet, consulti con avvocati…..

Tutti a cercare di capire se fosse proprio vero che le cose stavano così.

Tutti alla spasmodica ricerca di una vana conferma di aver compreso male le motivazioni delle contestazioni mosse al contraente generale ed al direttore dei lavori.

Ma come?

Non si era detto che il contraente generale doveva provvedere all’esecuzione dei lavori “con qualsiasi mezzo” come recita l’art.176, comma 2, lettera d) (oggi trasfuso nell’art. 194 del Dlgs 50/2016)?

Non era vero che i rapporti instaurati dal contraente generale con i terzi sono rapporti di diritto privato ai quali non si applica il codice degli appalti?

Si, questo è tutto vero ma, sottolineavamo, è soltanto una parte della verità: quella che è piaciuta di più!

L’altra è che il contraente generale, possedendo tutti i requisiti previsti dalla normativa, non soltanto è un organismo di diritto pubblico ma anche un’amministrazione aggiudicatrice.

Grazie al ruolo assunto rispetto all’esecuzione dell’appalto nell’ambito della quale è chiamato allo svolgimento di un ruolo manageriale e di gestione di risorse pubbliche, il contraente generale diventa il vero committente relativamente ai rapporti che instaura con le imprese chiamate ad eseguire l’opera e, in quanto amministrazione aggiudicatrice, è responsabile dal punto di vista civile, penale e contabile al pari del soggetto aggiudicatore.

E’ passato più di un anno e, pochi giorni fa, la Corte di cassazione (VI sezione Penale) ha depositato la a sentenza n. 9385 che, oltre a confermare quanto da noi sostenuto (e questa è l’aspetto meno importante) – rappresenta un vero e proprio macigno che si abbatterà sulle responsabilità penali di tanti improvvidi manager pubblici che hanno costruito le proprie fulgide carriere proprio grazie al laissez-faire garantito ai contraenti generali.

La Cassazione ha, infatti, definitivamente riconosciuto al contraente generale la qualifica di pubblico ufficiale o incaricato di pubblico servizio nello svolgimento delle procedure di scelta del subcontraente.

Sul punto, la recentissima pronuncia di cui discutiamo (scaricala qui), in piena linea con la giurisprudenza civile e amministrativa espressasi sul tema, chiarisce la qualifica di incaricati di pubblico servizio dei general contractors nell’attività di scelta di soggetti terzi cui sub-affidare le opere o le  forniture che consentono di conseguire il risultato che si sono obbligati a fornire alla pubblica amministrazione aggiudicatrice.

La Suprema Corte giunge a queste conclusioni partendo dal presupposto, pacifico nella giurisprudenza di legittimità ma consapevolmente ignorato dalle stazioni appaltanti che avrebbero dovuto vigilare (e che probabilmente hanno avuto un interesse a non farlo), secondo cui le qualifiche di pubblico ufficiale o di incaricato di pubblico servizio, di cui agli artt. 357 e 358 c.p., sono strettamente dipendenti dal tipo di attività svolta, in considerazione dei contenuti giuridici pubblici che la connotano e della disciplina pubblicistica che la regola, senza che invece possa assumere rilievo il legame tra il soggetto e un ente pubblico.

La Corte di Cassazione, pertanto, «non esclude la possibilità di ascrivere la qualifica di pubblici ufficiali o di incaricati di pubblico servizio ai soggetti inseriti nella struttura organizzativa e lavorativa del relativo ente sociale, qualifica da ritenersi per contra confermata ed integrata laddove quest’ultimo (ente) sia disciplinato da una normativa pubblicistica e persegua finalità pubbliche, pur se con gli strumenti privatistici propri delle società per azioni e, a condizione, ovviamente, che il soggetto abbia svolto in concreto un’attività che in tale servizio pubblico rientri».

Stante l’affermarsi del criterio oggettivo-funzionale nella delimitazione della categoria del pubblico ufficiale/incaricato di pubblico servizio, la giurisprudenza di legittimità ha individuato alcuni indici sintomatici del carattere pubblicistico dell’attività svolta: la natura pubblicistica dell’ente da cui promana l’attività del soggetto; la destinazione dell’attività svolta alla realizzazione degli interessi pubblici; l’impiego di denaro pubblico; la soggezione a controlli pubblici; e, infine, anche l’obbligatorietà della procedura di evidenza pubblica (sul punto si veda Cass. pen., sez, VI, 10 novembre 2015, n. 28299). Ai fini della qualificazione pubblicistica dell’attività svolta, al contrario, non si ascrive nessun rilievo né alla forma giuridica rivestita dall’ente, né alla sua costituzione secondo le norme di diritto pubblico.

Dopo essersi soffermata in generale sulle qualifiche di pubblico ufficiale o incaricato di pubblico servizio, la Corte di Cassazione applica questi indici sintomatici alla peculiare figura del contraente generale di cui all’art. 176 e segg. del d.lgs. 163/2006 (applicabile ratione temporis anche al caso di specie) e, oggi, all’art. 194 e segg. del d.lgs. 50/2016.

I ricorrenti richiamavano proprio l’art. 176, comma 6, del d.lgs. l63/200 (così come modificato dal d.lgs. n. 152 del 2008 – per desumere la natura privatistica del general contractor) e, ahinoi per i loro, hanno infilato la testa nelle fauci del Palazzaccio.

La Corte di Cassazione ha, infatti, superato queste sterili argomentazioni sul rilievo secondo cui la difesa «rimanda ad una interpretazione del dato letterale dell’art. 176 d.lgs. n.152 del 2008 e, a monte dell’art. 29, comma 3, dello stesso decreto, che non trova conferma nella ricostruzione della figura del general contractor, q uale ricavabile dalla evoluzione storico-fattuale dell’istituto e dai connotati pubblicistici che, secondo la giurisprudenza amministrativa e civile, e possibile sumere dalla disciplina che ne regola i rapporti sia con l’ente pubblico sia con i soggetti ai quali conferisce l’esecuzione delle opere ovvero le forniture id materiali. Tale disciplina, piuttosto che alle qualifiche soggettive e formali (…) va correlata ai compiti che il general contractor assume su di sé in un ambito: cioè la scelta dei soggetti terzi contraenti ai quali sub-affidare le opere e/o le forniture che consentono di conseguire il risultato cui esso si è obbligato a fornire all’amministrazione aggiudicatrice e quindi alle attribuzioni ricevute in forza delle convenzioni e per le quali possa dirsi che egli è inserito nell’apparato dell’ente pubblico appaltante così da assumere la veste do agente dell’amministrazione».

Nella pronuncia in oggetto, inoltre, è presente un breve excursus della giurisprudenza civile e amministrativa dalla quale si deducono chiari indici della matrice pubblicistica del general contractor, ai fini del diritto di accesso agli atti da parte dei subappaltatori (Ad. Plen., 30 agosto 2005, n. 5); del riconoscimento di un potere di autotutela per ragioni di pubblico interesse (Cons. di Stato, 28 ottobre 1998, n. 1478); e, infine, anche in tema di responsabilità contabile (Cass., S.U., 16 luglio 201 , n. 16240).

In applicazione del criterio oggettivo-funzionale e degli indici sintomatici declinati dalla giurisprudenza di legittimità, la Corte di Cassazione conclude statuendo che «nel momento in cui i contraenti generali effettuano la scelta di soggetti terzi contraenti a cui dovranno essere sub-affidate le opere e le forniture che consentiranno di conseguire il risultato che essi si sono obbligati a fornire all’amministrazione aggiudicatrice, indipendentemente dalla propria veste di soggetto privato (…) sono obbligati ad effettuare gare ad evidenza comunitaria, perché essi, quali enti aggiudicatori, sono, comunque, vincolati alle regole poste del Codice degli appalti a tutela della libera concorrenza e della par condicio; e qualora, per la scelta dei sub-affidatari, si determino a seguire una procedura concorrenziale, violandone le regole, ne rispondono non i qualità di soggetto privato bensì di incaricato di pubblico servizio, per effetto del citato art. 176, comma 6, d.lgs. 163/2006 (oggi art.194 d.lgs. 50/2016), trattandosi di affidamenti effettuati per conto della pubblica amministrazione, volti alla realizzazione di opera pubblica, finanziata da pubblico denaro».

Ed a questo punto poniamo gli stessi quesiti di un anno fa.

Se le cose stanno effettivamente così quali sono le responsabilità dirette del responsabile del procedimento nominato dalla stazione appaltante?

E quali quelle dei cosiddetti “uffici di alta vigilanza”?

Perché mai non viene esercitata l’azione penale nei loro confronti quanto meno per abuso o omissione di atti di ufficio?

Sbagliamo o il responsabile del procedimento (stando a quanto previsto dall’art. 10, comma 1, lettere l) ed r), del Dpr 207/2010 deve “promuove(re) l’istituzione dell’ufficio di direzione dei lavori ed accerta(re) sulla base degli atti forniti dal dirigente dell’amministrazione aggiudicatrice preposto alla struttura competente, la sussistenza delle condizioni che ai sensi dell’articolo 90, comma 6, del codice giustificano l’affidamento dell’incarico a soggetti esterni alla amministrazione aggiudicatrice” nonché  “svolge(re)la funzione di vigilanza sulla realizzazione dei lavori nella concessione di lavori pubblici, verificando il rispetto delle prescrizioni contrattuali”;?

Come è possibile immaginare che i reati contestati vengano perpetrati così diffusamente e per così lungo tempo senza che il committente se ne accorga?

E, soprattutto, come è mai possibile che pochissimi “direttori dei lavori” abbiano potuto  avere così tanti incarichi contestualmente, che gli stessi siano stati individuati alle più elementari norme di trasparenza e concorrenza, che le riserve contabili abbiano raggiunto livelli da manovra finanziaria, che le spese di progettazione abbiano costituito in alcuni casi l’occasione per un indebito arricchimento da parte del contraente, che le varianti (finanche approvate in taluni casi senza il parere obbligatorio del progettista) fioriscano anche fuori stagione?

Che fine hanno fatto le denunce presentate alla magistratura contabile ed all’ANAC riguardanti alcune importantissime opere di interesse strategico come la Pedemontana veneta, la Pedemontana lombarda, i Macro Lotti della Salerno – Reggio Calabria, il Quadrilatero Umbria Marche, il CoCiv e compagnia cantando?

L’Autorità Nazionale Anticorruzione cosa intende fare per vedere quanta polvere è stata messa sotto tutti questi tappeti e perché?

Probabilmente, una risposta a queste e ad altre domande potrebbe giungere solo da eventuali future inchieste giudiziarie ma in verità, poiché sembra che il mondo stia davvero cambiando, confidiamo di più sul fatto che, grazie ai nuovi assetti politici, chi governerà mantenga fede alla promessa di indagare sulla gestione, di ieri e di oggi, delle maggiori stazioni appaltanti.

Bisognose di essere rivoltate come un calzino!

Ancora oggi alcuni chiacchieratissimi general contractor (soprattutto nel settore stradale ed autostradale) sono in piena attività e le Procure della Repubblica hanno tutto il tempo, volendo, per esercitare l’azione penale prima che la prescrizione venga in soccorso degli (incapaci e/o complici) “uffici di alta sorveglianza” e “responsabili del procedimento” del committente, al momento, neppure lambiti da alcuna inchiesta.

AppaltiLeaks, non può fare altro che continuare ad informare ed a garantire (come già sta facendo) il supporto tecnico e legale dei professionisti aderenti alla propria rete a chi volesse denunciare situazioni simili.

 

05.03.2018 – riproduzione riservata

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