Precisiamo sin da ora che, in questo nostro breve articolo, qualsiasi riferimento a persone esistenti o a fatti realmente accaduti deve ritenersi puramente casuale così come il loro collegamento a specifiche procedure di gara, a determinati concorrenti, aggiudicatari, stazioni appaltanti e ad ogni altro particolare elemento che possa ricondurre a fattispecie concrete e vicende realmente verificatesi.
Ipotizziamo innanzi tutto:
- che, qualche tempo fa, gli organi di stampa abbiano diffuso la notizia di una grande inchiesta giudiziaria appena conclusa che avesse visto il coinvolgimento di numerosissime persone, società e imprese chiamate a rispondere di altrettanti illeciti penali ed amministrativi;
- che le prove siano state definite schiaccianti ed inoppugnabili grazie alle confessioni, ormai cristallizzate in sede di incidente probatorio, da molti dei soggetti coinvolti; prove che abbiano acclarato l’esistenza di una sistematica, reiterata e organizzata attività di corruzione e turbativa, finalizzata all’illecita acquisizione di commesse pubbliche di rilevante importo;
- che, secondo quanto riportato dai mass media, le varie ipotesi contestate “con assoluta chiarezza” dagli inquirenti abbiano riguardato, anche, un particolare imprenditore che – con reiterati doni, promesse e dazioni di danaro, collusioni e altri mezzi fraudolenti – sarebbe, prima, riuscito ad influenzare indebitamente il processo decisionale della stazione appaltante ottenendo l’aggiudicazione della commessa e, poi, a conseguire ulteriori ingiusti profitti nel corso della relativa esecuzione;
- che per queste e tutte le altre ipotesi di reato, ancora al vaglio della magistratura e quindi meritevoli della più incondizionata presunzione d’innocenza, la Prefettura competente abbia deciso perfino di adottare la misura della straordinaria e temporanea gestione (prevista dall’art.32, comma 1, lett. b, del DL 24 giugno 2014, n.90) dell’appalto illecitamente conseguito; tanto più che in tale immaginaria vicenda sia venuto in rilievo “il carattere tendenzialmente seriale delle condotte, anche in una prospettiva di appalti futuri”.
Bene.
Adesso ipotizziamo anche che, successivamente, la stessa impresa assoggettata a ‘commissariamento’ – dopo una discussa procedura di gara resa ancora più opaca per l’evidente illegittimità dello stesso disciplinare di gara – sia stata individuata quale affidataria di nuova e diversa serie d’importantissimi lavori: sempre da parte della medesima stazione appaltante che nel frattempo, sempre per ipotesi, si sia persino costituita parte civile nell’ambito del procedimento penale che vede coinvolto il nostro teorico imprenditore.
In pratica, si sarebbe giunti al punto in cui la pubblica amministrazione (evidentemente convinta della colpevolezza e dell’inoppugnabilità degli atti di indagine tanto da costituirsi, come detto, parte civile), da un lato, agirebbe quale soggetto danneggiato per ottenere la condanna dell’imputato (e, conseguentemente, per il risarcimento dei danni prodotti dal reato da quest’ultimo commesso) e, dall’altro lato, tornerebbe a contrattare con il medesimo operatore economico …
Sarebbe davvero una storia fantastica e surreale, forse bisognosa di ulteriori indagini, che quantomeno farebbe dubitare della coerenza della nostra ipotetica stazione appaltante stile “Giano bifronte”!
Ma – al di là delle questioni di opportunità, di raziocinio e di effettiva trasparenza ed integrità delle operazioni di gara che avrebbero, di fatto, riabilitato il nostro fantomatico imprenditore – chiediamoci: ma quest’impresa avrebbe potuto legittimamente partecipare alla procedura di appalto?
A nostro avviso, la risposta non potrebbe che essere che negativa.
Certo, chi non avesse prestato la dovuta attenzione alla lettura della normativa vigente potrebbe sostenere che abbiamo torto, perché la Legge (art. 80, comma 1, del d.lgs 50/2016) prevede che costituisce motivo di esclusione dalla partecipazione a una procedura d’appalto, unicamente, la condanna con sentenza definitiva o decreto penale di condanna divenuto irrevocabile o sentenza di applicazione della pena su richiesta ai sensi dell’art. 444 del codice di procedura penale.
Ed in effetti tutto ciò corrisponde a verità.
Ma è altrettanto vero, tuttavia, che, ai sensi del comma 5 del medesimo art. 80, le stazioni appaltanti sono tenute a disporre l’esclusione, anche, qualora si: «dimostri con mezzi adeguati che l’operatore economico si è reso colpevole di gravi illeciti professionali, tali da rendere dubbia la sua integrità o affidabilità» e tra tali gravi illeciti professionali rientra anche “(…) il tentativo di influenzare indebitamente il processo decisionale della stazione appaltante o di ottenere informazioni riservate ai fini di proprio vantaggio (…)».
Ripetiamolo, ai sensi di legge – affinché un operatore venga estromesso dalla gara di appalto – è sufficiente, per tale specifica evenienza, il solo dubbio (sia pur dimostrato con mezzi adeguati) e non, anche, che sia intervenuta una condanna ancorché non definitiva.
A meno, ovviamente, di non voler sostenere (e questo sarebbe francamente ridicolo) che il tentativo di cui si discute, ossia quello di influenzare indebitamente il processo decisionale, rilevi solo avendo riguardo alla specifica procedura in corso e non, anche, a quelle pregresse.
Ove ciò non basti, sarebbe utile richiamare le indicazioni della sempre vigile ANAC, presieduta dal Dott. Cantone, secondo la quale:
- «la disciplina recata dall’art. 80, comma 5, lett. c), del Codice, in relazione al c.d. grave illecito professionale, introduce nel quadro delle cause di esclusione, delle rilevanti novità che incidono in maniera sostanziale sulle modalità con le quali la stazione appaltante è chiamata a valutare l’affidabilità professionale del concorrente»;
- «il legislatore ha riservato alla stazione appaltante la potestà di valutare la gravità degli stessi per stabilire ex ante se il comportamento tenuto da questi ultimi sia tale da far venir meno il requisito di affidabilità dell’impresa ad assumere le obbligazioni conseguenti all’eventuale aggiudicazione della gara»
- «Il requisito della gravità del fatto illecito deve essere valutato con riferimento all’idoneità dell’azione a incidere sul corretto svolgimento della prestazione contrattuale e, quindi, sull’interesse della stazione appaltante a contrattare con l’operatore economico interessato»;
- «La valutazione dell’idoneità del comportamento a porre in dubbio l’integrità o l’affidabilità del concorrente attiene all’esercizio del potere discrezionale della stazione appaltante e deve essere effettuata con riferimento alle circostanze dei fatti, alla tipologia di violazione, alle conseguenze sanzionatorie, al tempo trascorso e alle eventuali recidive, il tutto in relazione all’oggetto e alle caratteristiche dell’appalto»;
- «riguardo all’applicabilità della previsione dell’art. 80, comma 7, del d.lgs. 50/2016 e delle misure di self cleaning ivi previste, un operatore che si trovi in una delle situazioni di cui all’art. 80, comma 5 è ammesso a provare di aver risarcito o di essersi impegnato a risarcire qualunque danno causato dal reato o dall’illecito e di aver adottato provvedimenti concreti di carattere tecnico, organizzativo e relativi al personale idonei a prevenire ulteriori reati o illeciti. Oltre al risarcimento del danno, rilevano, nell’impianto normativo, misure adottate dallo stesso operatore, che devono essere di carattere tecnico, organizzativo, o relative al personale, finalizzate a prevenire ulteriori illeciti».
In un Paese normale, ci si aspetta, quindi, che la Commissione di gara (e la stazione appaltante che ne condivida positivamente l’operato) si determini nell’escludere, motivatamente, un tale operatore economico e, preservando la par condicio, tenga in debito conto che, anche solo per l’avvenuta costituzione di parte civile sopra ipotizzata, la ’affidabilità professionale’ del concorrente in questione risulta, agli occhi della stazione appaltante, irrimediabilmente compromessa e, quindi, ostativa alla sua ammissione in gara.
Se, nell’era della tanto sbandierata anticorruzione, ciò non avvenisse risulterebbe, invece, privilegiato proprio chi si trovasse a dividere il proprio tempo tra il seggio di gara (come concorrente) ed il banco degli imputati (come presunto corruttore della stazione appaltante cui appartiene quel medesimo seggio di gara).
E tutto ciò dimenticando, peraltro, che la straordinaria e temporanea gestione di cui all’art.32 – certamente non disposta in tutte le centinaia di casi in cui viene disvelato un sistema corruttivo – pure non avendo finalità afflittive o sanzionatorie, è indubbiamente più che sufficiente per dare giusta rilevanza all’avvenuto tentativo del concorrente escluso (peraltro andato a ‘buon’ fine nell’ipotesi fantasiosa che stiamo sviluppando) di influenzare indebitamente il processo decisionale della stazione appaltante.
Ma sicuramente tutta questa assurda ed imbarazzante situazione immaginaria non potrà mai verificarsi, neppure in Italia.
O forse no, chissà….