Precisazione – Non si ritiene, in alcun modo, che quanto riportato nel presente articolo possa ritenersi indice di pratiche volutamente scorrette e non si vuole adombrare il benché minimo sospetto circa l’operato di funzionari e dirigenti pubblici della stazione appaltante che, al contrario (ne si è fermamente convinti), avranno sicuramente adottato ogni atto e/o provvedimento ispirandosi, sempre e comunque, al massimo ed effettivo rispetto dei principi di legalità, imparzialità e buon andamento che sottendono l’agire della Pubblica Amministrazione.
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Da più di un ventennio, la normativa sugli appalti pubblici ha statuito una particolare procedura, denominata “verifica preventiva dell’interesse archeologico”, in ragione della quale deve, obbligatoriamente, essere esperita una serie d’indagini (analisi, prospezioni e sondaggi) prima che venga approvato qualsiasi progetto realizzativo di opere e lavori.
Purtroppo, tale obbligo di legge viene, spesso, eluso rinviando la verifica archeologica alla fase esecutiva dei lavori, quando è ormai troppo tardi per una loro sostanziale modifica ed è inevitabile che – oltre a potenziali situazioni di conflitto tra stazione appaltante e Soprintendenza territorialmente competente – si determinino le condizioni per l’iscrizione delle immancabili riserve contabili (richieste risarcitorie) per un “andamento anomalo dei lavori” che permettono all’impresa esecutrice di aumentare il margine di redditività dell’appalto.
Il tutto a discapito dei cittadini (che subiscono l’allungamento dei tempi realizzativi dell’opera) e dell’Erario (per l’ingiustificato maggior costo dei lavori stessi).
Ma passiamo ad esaminare l’appalto che ci hanno segnalato: una gara identificata con il codice CA 16/18 bandita per l’appalto misto, con prevalenza lavori, avente ad oggetto “l’esecuzione dei lavori di Scavi archeologici con preventiva bonifica da ordigni bellici delle aree di intervento nell’ambito degli appalti di competenza del Coordinamento Territoriale Sardegna, in regime di Accordo Quadro, ai sensi dell’art. 54 del D.lgs. n. 50/2016 e s.m.i., per la durata di quattro anni” (scarica qui l’avviso pubblicato).
L’assenza di qualsivoglia documento progettuale (che dovrebbe essere, lì, disponibile per le dimenticate ragioni di trasparenza dettate dall’art.29 del medesimo Codice) certamente non aiuta a comprendere quale sia, realmente, l’oggetto dell’appalto e quanto, eventualmente, quest’ultimo possa essere affetto da indeterminatezza (e quindi da nullità). Abbiamo, infatti, già ripetutamente scritto al riguardo e, ancora una volta, occorrerà arrendersi al fatto che l’accordo quadro sembra essere stato utilizzato – anche in questa occasione – per sollecitare il mercato degli operatori economici a presentare la propria candidatura totalmente “al buio”, senza poter sapere (al di là della generica indicazione dei “luogo principale” ove dovranno essere eseguiti i lavori e rese le prestazioni: Provincia di Cagliari – Località Sant’Antioco e Giba) alcunché del numero, delle caratteristiche e della collocazione spazio-temporale dei contratti applicativi attivabili nel periodo di durata dell’accordo quadro medesimo.
Con buona pace dell’ANAC e del suo Regolamento per l’esercizio dei ‘super poteri’ di cui all’art. 211 del Codice che, con tutta probabilità, resteranno nuovamente nel cassetto (per approfondire, questo aspetto, leggi altro articolo).
Ad ogni modo, proprio per questo motivo, analizzeremo quelle che appaiono le uniche due fattispecie possibili che potrebbero celarsi dietro questa procedura di appalto per svolgere ulteriori considerazioni in materia di “verifica preventiva dell’interesse archeologico”.
E, per agevolare la lettura, abbiamo predisposto uno semplice schema (qui di seguito riportato) che, illustrando l’intero iter che conduce dalla programmazione all’affidamento dell’esecuzione di un lavoro pubblico, ci farà meglio comprendere le due ipotesi trattate.
IPOTESI “A” – Appalto effettivamente di lavori (o misto di lavori e servizi) per l’esecuzione dei lavori di Scavi archeologici con preventiva bonifica da ordigni bellici delle aree di intervento.
In verità, questa ci sembra l’ipotesi meno plausibile perché, se si volesse immaginare un’effettiva volontà di commissionare precisi e già individuati “lavori di scavo archeologici” dovrebbe giudicarsi come impropria la scelta di riferirli alle “aree di intervento nell’ambito degli appalti di competenza del Coordinamento Territoriale Sardegna”.
Se veramente si trattasse di “scavi archeologici” si dovrebbe, infatti, presumere che l’ambito reale sia quello dei contratti nel settore dei beni culturali e, quindi, verrebbe in rilievo l’importante novità introdotta dal D.lgs. 50/2016 circa la necessità di redigere un progetto esecutivo, che non può essere aggirata come si verificava con il precedente D.lgs. 163/20016. Il comma 4 dell’art. 147 della normativa vigente prevede lapidariamente che i lavori di scavo archeologico, anche subacqueo, debbano essere appaltati sulla base di un progetto esecutivo e, di conseguenza, non sarebbe agevole giustificare il perché mai ricorrere, ancora una volta, all’accordo quadro piuttosto che ad un appalto (diviso in lotti o meno) per l’esecuzione di lavori programmati e già definiti in ogni dettaglio.
Anche per non incorrere in una nuova censura dell’ANAC per l’avvenuta violazione di una serie di principi codicistici (vedi Parere ANAC del 27 settembre 2017 secondo cui sussiste la “necessità che l’aggiudicazione di nuove opere ed interventi di manutenzione straordinaria avvenga nel rispetto della disciplina sulla progettazione, anche in caso di ricorso allo strumento dell’accordo quadro“).
Resterebbe, ovviamente, in disparte ogni considerazione circa la mutata natura del principale gestore di infrastrutture stradali ed autostradali del nostro Paese che, indossando il cappello e la frustra di un novello Indiana Jones, si troverebbe ad appaltare (non si sa a quale titolo) lavori archeologici di competenza del Ministero dei Beni Culturali piuttosto che di quelli del Ministero delle Infrastrutture.
IPOTESI “B” – Appalto di lavori (o misto di lavori e servizi) per l’attività di assistenza al RUP nell’ambito della definizione del progetto di fattibilità tecnica ed economica.
Come è noto, per le opere sottoposte all’attuazione del D.lgs. 50/2016, è obbligatoria l’applicazione dell’art. 25, ai fini di una verifica preventiva dell’interesse archeologico sulle aree interessate dalle realizzazione delle opere. Tale verifica preventiva consente di accertare – prima dell’approvazione del progetto di fattibilità dell’intervento – la sussistenza di giacimenti archeologici ancora conservati nel sottosuolo e di evitarne la distruzione con la realizzazione delle opere in progetto. L’applicazione dell’iter procedurale complesso, previsto dall’art. 25 (scarica qui il relativo workflow), permette alla committenza di opere pubbliche di conoscere, preventivamente, il rischio archeologico dell’area su cui è in progetto l’intervento e di prevedere, conseguentemente, eventuali variazioni progettuali difficilmente attuabili in corso d’opera ed in attuazione del disposto dell’art.20 del D.Lgs. 42/2004 (“i beni culturali non possono essere distrutti, deteriorati, danneggiati o adibiti ad usi non compatibili con il loro carattere storico o artistico oppure tali da recare pregiudizio alla loro conservazione“).
In merito alle modalità di attuazione della procedura di verifica preventiva dell’interesse archeologico, rilevante importanza rivesto sia una disposizione interna del MiBACT ossia la Circolare n. 1 del 20.01.2016 (emesso dalla ex Direzione Generale Archeologia, le cui funzioni sono ora confluite nella Direzione Generale Archeologia Belle Arti e Paesaggi) sia il regolamento recante “Indicazioni e norme per la consegna di documentazione di scavo archeologico, di lavori a finanziamento e D.L. a committenza esterna di cui quest’Ufficio ha direzione scientifica”.
Ciò detto, è di tutta evidenza che nell’ipotesi “B” – sempre facendo riferimento all’illustrazione sopra riportata – ci troveremmo in tutt’altra posizione dell’intero iter che conduce dalla programmazione all’affidamento dell’esecuzione di un lavoro pubblico: quella, primordiale, del progetto di fattibilità tecnica ed economica.
La fattispecie concreta sarebbe, infatti, quella prevista dal comma 8 dell’art. 25 ossia quella dell’approfondimento dell’indagine archeologica (mediante carotaggi, prospezioni geofisiche e geochimiche, di saggi archeologici e, ove necessario, di esecuzione di sondaggi e di scavi, anche in estensione tali da assicurare una sufficiente campionatura dell’area interessata dai lavori) che la Sovraintendenza potrebbe disporre, all’emersione di elementi archeologicamente significativi.
E – seppure, dal punto di vista strettamente tecnico, potrebbero ritenersi corrette le previsioni dell’avviso di gara in termini di requisiti di qualificazione richiesti ai concorrenti (OS25 ed iscrizione all’Albo di cui al DM 82/2015) – la procedura negoziata di cui discutiamo continuerebbe, comunque, a non convincere.
Negli ultimissimi tempi, ANAS ha già affidato in Sardegna (con una sequela di accordi quadro di durata pluriennale …):
- € 4.000.000 per servizi di bonifica ordigni bellici propedeutici all’avvio di lavori (gara DG 41/17);
- € 1.000.000 per servizi di verifica preliminare di progetti di importo lavori pari o superiore a 20Ml di euro (gara DG 10/17)
- € 500.000 per servizi di verifica preliminare di progetti di importo lavori inferiore a 20Ml di euro (gara DG 18/17)
- € 2.000.000 per servizi di progettazione di interventi di manutenzione programmata (gara DG 3/17)
- € 3.000.000 per servizi di progettazione definitiva ed esecutiva (gara DG 8/17)
- € 1.000.000 per servizi di progettazione definitiva ed esecutiva (gara DG 14/17)
- € 3.700.000 per servizi di progettazione definitiva ed esecutiva (gara DG 25/17)
- € 6.000.000 per servizi di progettazione definitiva ed esecutiva (gara DG 26/17)
- € 7.000.000 per servizi di progettazione definitiva ed esecutiva (gara DG 27-17)
- € 2.000.000 per servizi di progettazione esecutiva (gara DG 55-17)
Insomma, più di VENTISEIMILIONI di euro – nella sola Sardegna – per servizi di progettazione definitiva e/o esecutiva che presuppongono, inevitabilmente, la preesistenza di un’enormità di progetti di fattibilità tecnica ed economica senza i quali, di certo, non potrebbero essere state bandite tutte le sopra elencate procedure.
Progetti di fattibilità che, per aver appunto giustificato la conclusione di questi numerosissimi accordi quadro, avranno necessariamente avuto come presupposto l’avvenuto integrale espletamento delle verifiche preventive dell’interesse archeologico e tutto ciò che ne consegue.
Ed allora? A cosa si riferisce questa procedura negoziata? Può, ragionevolmente, ritenersi che si sia resa necessaria per un progetto di fattibilità ancora in corso? Se sì quale? Perché si fa ricorso all’accordo quadro? E, ancora, possibile mai che con tutti i numerosissimi progetti di fattibilità precedenti (che hanno permesso, in tutta la Sardegna, l’affidamento di ben 26.000.000 di euro di servizi) la Sopraintendenza non abbia avuto alcunché da ridire?
E, comunque, perché “scavare”? Siamo di fronte alla concreta possibilità che possa rinvenirsi un nuovo ed importante sito archeologico d’interesse nazionale? Quali istituti archeologici universitari o soggetti in possesso della necessaria qualificazione sono stati coinvolti) così come previsto dal citato art.25)? La Soprintendenza archeologica, belle arti e paesaggio per la Città Metropolitana di Cagliari e le Province di Oristano e Sud Sardegna (alla quale rivolgiamo) può fornirci qualche informazione aggiuntiva sui probabili, imminenti, rinvenimenti?
Dobbiamo presupporre che, una volta tanto, ci sia una stazione appaltante capace di operare, in modo encomiabile, secondo i rigidi dettami previsti dal Codice per la fase “preliminare” del progetto (ipotesi “B”)?
O, un domani, dovremo registrare l’imbarazzante alternativa – ma sicuramente non è questo il caso – per cui gli “scavi archeologici” sono stati resi, tardivamente, obbligati nel corso dell’esecuzione di lavori già appaltati e consegnati più o meno negli stessi luoghi (Provincia di Cagliari – Località Sant’Antioco e Giba) circa un anno fa (vedi comunicato stampa del 10.02.2017)?
Speriamo che non sia questo il motivo e, lo ripetiamo ancora una volta, non riteniamo, in alcun modo, che queste nostre riflessioni possano ritenersi indice di pratiche volutamente scorrette e non nutriamo il benché minimo sospetto circa l’operato di funzionari e dirigenti pubblici della stazione appaltante che, al contrario (ne siamo fermamente convinti) avranno adottato ogni atto e/o provvedimento ispirandosi, sempre e comunque, al massimo ed effettivo rispetto dei principi di legalità, imparzialità e buon andamento che sottendono l’agire della Pubblica Amministrazione.
E poco, francamente, ci importa di questa specifico appalto che ci è servito solo come spunto per un approfondimento di uno degli aspetti più complessi e trascurati della fase progettuale di un’opera pubblica: quella, appunto, delle verifiche preventive dell’interesse archeologico.
Staremo a vedere e se la sezione “Amministrazione trasparente” della stazione appaltante ci consentirà di capire qualcosa in più (casomai grazie a “tutti gli atti relativi alla programmazione di lavori, opere, servizi e forniture” che l’art. 29 del Codice vorrebbe fossero pubblicati …) ritorneremo, con piacere, sull’argomento.
05.08.2018
Questo articolo è stato predisposto utilizzando fonti ritenute attendibili ed accurate. Tuttavia – in considerazione della mancata pubblicazione, sul sito istituzionale della stazione appaltante, di tutti gli atti previsti dall’art.29 del D.Lgs. 50/2016 – AppaltiLeaks non ne garantisce né la completezza né l’esattezza ed in ogni caso non assume alcuna responsabilità per danni morali e materiali, diretti ed indiretti, causati dall’uso di questo articolo o del suo contenuto. La riproduzione, anche parziale, di questo articolo è consentita previa citazione della fonte.